“Pensa, Manu, che bello: che quando nasciamo, non moriamo più!”

In dialogo con i fratelli e sorelle separati, divorziati, e divorziati risposati

Rubrica a cura di Don Giovanni Boezzi delegato dai sacerdoti della Zona Pastorale di Vasto per la Famiglia

Carissimi, continuiamo ad ascoltare ed in questo caso a leggere la testimonianza di Emanuele, oggi ci parlerà di amici e di una vicinanza materna. «Un cane, senza che gli si chieda nulla, aiuta chi vede nel bisogno, mentre un uomo non si accorge, o peggio, fa finta di niente» (Don Pierluigi Plata).

Nel momento del maggior bisogno, ho incontrato dei compagni di viaggio. Persone che avevano vissuto come me il grande dolore della separazione, e allora, sia che l’avessero del tutto superato sia che vi fossero ancora dentro, si erano dedicati ad accogliere altri fratelli e sorelle separati. Dopo la mia “conversione”, ancora non riuscivo a capire cosa significasse cercare di camminare con Gesù nella sua Chiesa e, nello stesso tempo, vivere la croce della separazione. Non ne capivo il nesso. Il dolore della separazione non è proprio come tutti gli altri: ti senti sempre un po’ in colpa, sempre un po’ giudicato, provi sempre un po’ di vergogna. La separazione era la mia fonte di dolore e di umiliazione, mentre mi pareva che la mia “nuova” fede mi chiamasse ad altro. In queste persone separate che mi accoglievano, e verso le quali provavo l’immensa gratitudine di sentirmi forse per la prima volta accolto, capito fino in fondo, anche nei miei silenzi, talvolta addirittura prevenuto nelle mie necessità, vedevo realizzarsi la ricerca sincera di Dio e, nello stesso tempo, l’accettazione della propria situazione. Con la guida spirituale di sacerdoti particolarmente sensibili e attenti, da allora siamo assieme in cammino. Sono diventato anch’io un operatore, anche se nel nostro caso la divisione dei ruoli tra utente e operatore, tra chi aiuta e chi si fa aiutare, che in molti casi è un po’ artificiosa, è ancor più sottile, e qualche volta – posso dire – perfino si inverte. Mi sono fermato a servire nell’ospedale da campo che mi aveva accolto sanguinante qualche tempo prima, in quella locanda che mi aveva dato un piatto caldo e una coperta quando tutti mi avevano lasciato solo.

In questi anni, dopo la mia separazione, ho sperimentato la vicinanza materna e la forte dolcezza di alcune religiose. E ho capito in modo particolare come certi carismi religiosi sono in grado di esprimere una singolare vicinanza a tante situazioni di sofferenza, e in particolare di quella familiare.

Quando mi sono separato non avevo già più mio papà, e mia mamma sarebbe mancata poco dopo. Ma avevo ritrovato una mamma, quando lavoravo e vivevo a Parma, in una suora orsolina di un istituto che accoglieva minori in difficoltà e presso cui facevo attività di volontariato: Suor Assunta Dalla Grana, un’anziana ex madre superiora, “teoricamente” a riposo in quell’istituto, ma in realtà in piena attività come pittrice, e soprattutto come donna che pregava, accoglieva, consigliava. E metteva assieme le persone, tirando fuori il meglio di ciascuno, tessendo tra loro e con loro relazioni positive. Era stata lei a convincermi a mettere in piedi a Parma, mettendomi in contatto con il parroco della vicina chiesa, e raccogliendo un primo nucleo di persone separate, un analogo gruppo di preghiera come quello dell’associazioni di separati cristiani che avevo conosciuto e che periodicamente frequentavo a Milano. Io avevo remore e dubbi, pensavo di non essere in grado, di avere soprattutto ancora io per primo tanto bisogno di aiuto; e fu invece lei a dirmi: “Ma dai Manu (così mi chiamava, e così, specie da allora, mi piace farmi chiamare), dobbiamo farlo anche qui”. Era lei che mi accoglieva nel suo studio pieno di colori e odore di vernice, e che, alla mia domanda: “Come sta, Suor Assunta?”, mi rispondeva sempre: “Benissimo! Ma ora che ti vedo, meglio!”. Quanto mi incoraggiò e mi sostenne nella mia scelta di fedeltà matrimoniale e nell’amore verso mia moglie. Quanta teologia passava in modo semplice nei suoi discorsi. Ricordo ancora quando mi colpì questa semplice constatazione di fede, ma alla quale non avevo mai pensato con quella chiarezza ed evidenza: “Pensa, Manu, che bello: che quando nasciamo, non moriamo più!”. E so, quindi, che ora mi guarda e ci guarda; perché prima che lasciassi quella città per tornare a Genova, mancò dopo breve malattia, e ciò mi lenisce il rimpianto per non essere riuscito a salutarla.

E ricordo anche quando, assieme ad un piccolo gruppo di amici e amiche separati, ebbi un incontro con alcune suore passioniste di clausura. Tutti scambiammo con loro alcune brevi battute, confidammo qualche peso del momento, affidammo intenzioni di preghiera. Tutto nell’arco di pochi minuti. Dopo circa un anno, ritornammo a trovarle, e restai letteralmente allibito non solo nel sentirmi chiamare per nome, ma anche nel sentirmi chiedere notizia, col suo nome, della persona che avevo affidato alle loro preghiere. “Queste fanno sul serio!”, pensai tra me e me.

(fine quarta parte)

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