Imparare nella coppia il linguaggio dell’amore amabile
«Non cerca il suo interesse» (1Cor 13,5)
Rubrica a cura di Don Giovanni Boezzi delegato dai sacerdoti della Zona Pastorale di Vasto per la Famiglia
Papa Francesco al n. 101 dell’Esortazione Apostolica Amoris laetitia, scrive: «Abbiamo detto molte volte che per amare gli altri occorre prima amare sé stessi. Tuttavia, questo inno all’amore afferma che l’amore “non cerca il proprio interesse”, o che “non cerca quello che è suo”. Questa espressione si usa pure in un altro testo: “Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri” (Fil 2,4). Davanti ad una affermazione così chiara delle Scritture, bisogna evitare di attribuire priorità all’amore per sé stessi come se fosse più nobile del dono di sé stessi agli altri. Una certa priorità dell’amore per sé stessi può intendersi solamente come una condizione psicologica, in quanto chi è incapace di amare sé stesso incontra difficoltà ad amare gli altri: “Chi è cattivo con sé stesso con chi sarà buono? […] nessuno è peggiore di chi danneggia se stesso” (Sir 14,5-6)». Al n. 102 prosegue dicendo: «Però lo stesso Tommaso d’Aquino ha spiegato che “è più proprio della carità voler amare che voler essere amati” e che, in effetti, “le madri, che sono quelle che amano di più, cercano più di amare che di essere amate”. Perciò l’amore può spingersi oltre la giustizia e straripare gratuitamente, “senza saperne nulla” (Lc 6,35), fino ad arrivare all’amore più grande, che è “dare la vita” per gli altri (Gv 15,13). È ancora possibile questa generosità che permette di donare gratuitamente, e di donare sino alla fine? Sicuramente è possibile, perché è ciò che chiede il Vangelo: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8)».
Carissimi, in quanto relazione con l’altro, l’amore non è anzitutto preoccupato di sé. Si profonde disinteressatamente, non cerca il suo interesse. Non lo cerca, ad essere più precisi, a scapito dell’altro, trattando l’altro come una riserva di beni a cui attingere sino ad esaurirla. Propriamente parlando, l’amore non è senza interesse. È anzi intensamente interessato alla relazione con l’altro, e in vista della partecipazione alla vita dell’altro, nel reciproco godimento dell’amore, si mette all’opera, cercando di mettere a frutto quanto ha in dotazione. Questa logica, che per amore dell’altro mette in gioco le proprie capacità e più integralmente sé stesso, viene descritta, per diritto e per rovescio, nella cosiddetta parabola dei talenti in Mt 25,14-30.
Dopo l’ascesa di Gesù al cielo, in seguito alla sua morte e risurrezione, la storia è il tempo in cui il suo Spirito, consegnato dall’alto della croce, è offerto in dotazione a tutti gli uomini, affinché si amino gli uni gli altri al modo in cui Gesù ha amato. A fronte di questo dono d’amore, offerto a tutti – come chiaramente lasciano intendere le parole pronunciate da Gesù in previsione della sua Pasqua: «Io quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me» – gli uomini risultano ad un tempo obbligati e liberi. Obbligati perché non possono evitare di essere destinatari dell’amore di Gesù: essi non possono non sentire il suo amore che li attrae e non gli concede l’indifferenza totale. Obbligati ad essere amati, gli uomini non lo sono nel corrispondere all’amore. Restano infatti liberi di corrispondere o meno all’amore.
L’amore con cui il tu corrisponde all’amore dell’io raddoppia l’amore che i due vivono. Affinché l’amore raddoppi, sia cioè fecondo, non deve essere trattenuto ma ricambiato. L’amore cresce nella misura in cui lo si dona a mani aperte. Se lo si volesse trattenere stringendolo in pugno, fosse anche per il timore di perderlo, sfuggirebbe come sabbia tra le dita. L’ansia per la responsabilità del dono ricevuto è però alimentata alla radice dalla paura della relazione con l’altro, a sua volta dovuta dalla paura di perdere la propria indipendenza. Apprezzare un dono mettendolo a frutto significa riconoscere e volere la relazione con il donatore, sentirsi obbligato, stringere un legame amoroso con l’altro. La ricerca non verte più sul proprio interesse, ma sull’interesse reciproco: l’io, invece che chiudersi in sé stesso, timoroso dell’altro e geloso della propria autonomia, accetta il legame con il tu, si apre al nuovo orizzonte del noi.