La comunità familiare come storia di salvezza
Rubrica a cura di Don Giovanni Boezzi delegato dai sacerdoti della Zona Pastorale di Vasto per la Famiglia
Carissimi, la riflessione del Papa continua richiamando come la stessa trasmissione della vita situi il matrimonio e gli sposi nel contesto della storia della salvezza e si presenti come storia di salvezza in atto: grazie ai genitori che si aprono alla vita e grazie al dono dei figli si dispiega nel mondo la «lieta notizia» dell’Unigenito incarnato: «Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio» (Is 9,5; con Mt 1,21-23 e Lc 2,11-12).
Il dono del figlio, espressione dell’amore degli sposi, «sboccia nel cuore stesso del loro mutuo dono, di cui è frutto e compimento» (AL 80). L’amore coniugale porta con sé, per sua natura, l’impulso a non chiudersi in se stesso, ma ad aprirsi ad una fecondità oltre l’esistenza stessa dei due. Il figlio rientra in quest’amore e ne è un’espressione viva. La sessualità coniugale, se è ordinata anzitutto all’amore coniugale dell’uomo e della donna, alla sua crescita e alla loro gioia, è ordinata in pari tempo per la sua stessa natura alla generazione. «Il figlio chiede di nascere da un tale amore e non in qualsiasi modo, dal momento che egli non è qualcosa di dovuto ma un dono, il frutto dello specifico atto dell’amore coniugale dei suoi genitori. Perché secondo l’ordine della creazione l’amore coniugale tra un uomo e una donna e la trasmissione della vita sono ordinati l’uno all’altra (Gen 1,27-28). In questo modo il Creatore ha reso partecipi l’uomo e la donna dell’opera della sua creazione e la ha contemporaneamente resi strumenti del suo amore, affidando alla loro responsabilità il futuro dell’umanità attraverso la trasmissione della vita umana» (AL 81).
Dopo aver denunciato una cultura anti-life, con «il diffondersi di una mentalità che riduce la generazione di una vita a una variabile della progettazione individuale o di coppia», ed essersi richiamato all’Humanae vitae sul metodo di regolazione delle nascite (AL 82), Papa Francesco qualifica la famiglia come il «santuario della vita»: il luogo in cui ogni figlio è generato, accolto, curato e aiutato a crescere, escludendo nel modo più assoluto ogni forma violenta che uccida una creatura umana, cominciando dal suo concepimento (aborto) fino al tramonto della vita (eutanasia), «La vita è un fine in se stessa e non può mai essere oggetto di dominio da parte di un altro essere umano» (AL 83). Il dono dei figli si prolunga nella loro educazione come evento di amore e di grazia; una sfida educativa che non è solo un dovere, un’incombenza o un peso, ma di «un diritto essenziale e insostituibile che i genitori sono chiamati a difendere e che nessuno dovrebbe pretendere di togliere loro» (AL 84).
Il Papa si richiama implicitamente alla dottrina sociale della Chiesa che proclama il primato della persona e della famiglia sullo Stato e sulla scuola. La persona è al vertice, come spiega il Concilio Ecumenico Vaticano II (GS 25). Lo Stato deve servire la persona, favorirne la responsabilità, la creatività e la partecipazione alla vita sociale, non modificarla, demotivarla o emarginarla. Ora, la persona trova il suo habitat originario nella famiglia: la famiglia è infatti la prima comunità di vita e di amore, ambito primario di umanità e prima comunità educante. La dottrina della Chiesa parla del principio di sussidiarietà; un principio che vale tanto per lo Stato quanto per la scuola, e vede i genitori come i primi soggetti dell’opera educativa. Socialmente non esiste alcuna istituzione che svolga un ruolo tanto fondamentale per la costruzione di un futuro umano e umanizzante per la società e per la stessa Chiesa quanto la comunità familiare. Di qui l’essenzialità della vocazione/missione della famiglia cristiana e della testimonianza che essa è impegnata a dare. La Chiesa si opporrà sempre a una cultura senza famiglia o, peggio ancora, contro la famiglia, essendo pienamente consapevole di come il bene della persona, della stessa società e della comunità cristiana sia strettamente legato al bene della famiglia (GS 47; FC 3; AL 31).
«La Chiesa è chiamata a collaborare, con un’azione pastorale adeguata, affinché gli stessi genitori possano adempiere la loro missione educativa. Deve farlo aiutandoli a valorizzare il loro ruolo specifico, e a riconoscere che coloro che hanno ricevuto il sacramento del matrimonio diventano veri ministri educativi, perché nel formare i loro figli edificano la Chiesa e nel farlo accettano una vocazione che Dio propone loro» (AL 85).