“Cómo te sientes hoy?”

Rubrica per la famiglia a cura della dott.ssa De Leonardis Ivana

Non posso fare a meno di aprire una parentesi su questo periodo particolare che stiamo attraversando da oltre un anno e che ha investito tutti. Penso che ci vorrà un tempo lunghissimo per tirare le somme di quanto stiamo vivendo, per separare ciò che può esserci stato di buono per noi, da ciò che abbiamo smarrito o vogliamo lasciar andare. Soprattutto, ci vorrà ancora del tempo per dare un senso a tutto.

In questo tempo di pandemia, in cui persino le voci degli esperti ci sono spesso arrivate confuse, c’è stato il grande silenzio dei bambini e dei ragazzi. Non perché non avessero qualcosa da dire o emozioni da esprimere, ma perché nessuna voce “ufficiale” gliele ha mai chieste o le ha volute ascoltare.

Chi ha figli preadolescenti o adolescenti, o chi per qualunque ragione ha a che fare con loro, sa bene che i ragazzi avrebbero cento modi diversi per raccontare la loro esperienza di pandemia.

Abbiamo visto ragazzi straordinariamente resilienti e capaci di riadattarsi e ragazzi che si sono lasciati andare. C’è chi oggi è ancora più nervoso, chi è in preda all’ansia e fa fatica ad addormentarsi, chi è smanioso di tornare alla vita di prima e chi si è adagiato ancora di più sul divano con il cellulare in mano.

Ci sono stati ragazzi che si sono trincerati dietro l’invisibilità della video camera spenta per chiudersi ancora di più nel loro mondo e altri invece che hanno vissuto ancora più iper-connessi di prima. C’è a chi è mancato tantissimo lo sport, chi è riuscito a prendersi cura del proprio corpo con allenamenti domestici, chi ha cominciato a curare il proprio aspetto fisico solo dalla vita in su (la parte visibile dello schermo), chi ha trovato nuovi interessi, chi si è inventato nuovi modi per mantenere le relazioni di amicizia, chi si è visibilmente intristito e chi soffre nel corpo per emozioni spiacevoli che non riesce a dire con le parole.

In molti ragazzi riscontro una certa stanchezza, soprattutto in quest’ultimo periodo che in tanti definiscono per certi versi più faticoso del primo lockdown. La paragono un po’ alla stanchezza che può provare un atleta abituato ad allenarsi per i 200 metri, ma che poi diventano gli 800 e poi gli si chiede di farne ancora un po’ e poi si riscopre ad aver corso una maratona di 42 km a cui non era preparato.

Quando era piccolo, un giorno la zia regalò a mio figlio una maglietta souvenir di ritorno da un suo viaggio in Spagna. Sulla maglietta erano stampate una dozzina di emoticon con sotto la scritta dell’emozione che rappresentavano, dalla gioia alla tristezza, dalla rabbia al disgusto con tutte le gradazioni possibili. Più in basso c’era la frase: “CÓMO TE SIENTES HOY?”. Lui non sapeva ancora leggere, ma guardava le espressioni delle varie facce e sceglieva, un po’ per gioco un po’ sul serio, quella che rispondeva più o meno alla sua emozione del giorno.

Credo che quella maglietta dovremmo regalarla metaforicamente a tutti i bambini e ragazzi (e magari anche agli adulti), perché nella sua semplicità fa una cosa di estrema importanza: ti chiede di guardarti dentro, di dare un nome e di esprimere la tua emozione. Si chiama educazione emotiva e comincia da bambini. 

“Come ti senti oggi?” è la domanda più semplice e più complessa del mondo. Me ne accorgo nel mio lavoro, quando incontro adulti grandi e grossi a cui questa domanda manda letteralmente in crisi. Riescono a malapena a rispondere un generico: “Bene” oppure “Male”.  Ma nel bene o male ci sono sfumature infinite ognuna delle quali ha un suo nome preciso.

L’educazione emotiva è un aspetto fondamentale della nostra crescita e del nostro benessere. È un allenamento alla consapevolezza di ciò che ci succede dentro che vale per tutte le età, ma che acquista una importanza ancora più marcata nell’adolescenza in cui, come abbiamo visto, il ragazzo è guidato prevalentemente dalle emozioni.

Come adulti possiamo aiutare il ragazzo a leggere ogni esperienza della sua vita innanzitutto alla luce delle emozioni che gli suscita. Non c’è bisogno di trovare un tema esistenziale per invitarlo a guardarsi dentro. Il pretesto può essere qualunque cosa: dall’interrogazione in Dad al video dell’influencer che sta catturando la sua attenzione, dalla notizia del telegiornale alla musica che sta ascoltando. 

Accompagnare il ragazzo a decifrare le proprie emozioni, compreso il silenzio, saper dare loro un nome e un significato, saperle esprimerle, poterle “poggiare” in un posto comodo che è quello di uno spazio di ascolto attento e premuroso, è il primo modo per aiutarlo a stare bene.

Vale sempre, in questo tempo sospeso ancora di più!

E tu, adulto, “COMO TE SIENTES HOY?”

                                                                                                            dott.ssa Ivana De Leonardis  – Consulente Familiare®

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