Credere nella famiglia, luogo in cui nasce la speranza.

Rubrica a cura di Don Giovanni Boezzi delegato dai sacerdoti della Zona Pastorale di Vasto per la Famiglia

Carissimi,

alla luce di quanto detto mercoledì scorso, possiamo affermare che la famiglia, alimentata dalla speranza cristiana, può diventare il luogo nel quale la speranza si sviluppa per contagiare la società e per cambiare il mondo. Noi sappiamo che le famiglie non vivono tutte una storia di speranza; ci sono famiglie che arrancano in una storia altalenante tra le poche gratificazioni e le molte frustrazioni della vita di coppia e di famiglia, famiglie che vivono più la fatica che la gioia dell’amore, famiglie che falliscono un progetto intrapreso con tanta buona volontà.

Per queste famiglie non esiste una speranza? Sono soltanto storie malriuscite, scarti di un bel progetto andato a male? Oggi, di fronte alle evidenti fragilità delle famiglie, ci vuole un bel coraggio per indicare la famiglia come “luogo unificante oggettivo di tutta la pastorale” e indicare la famiglia come luogo privilegiato della speranza, come realtà capace di alimentare la speranza del mondo.

Questo coraggio ci domanda di credere nella famiglia, anzi di credere in ogni famiglia: non una fede ideologica che ci fa stimare solo la famiglia ideale, ma una fede che ci fa credere nelle nostre famiglie concrete, con le loro povertà e le loro fragilità. Giovanni Paolo II è stato coraggioso quando — nell’incontro con le famiglie il 20 ottobre 2001, alla vigilia della beatificazione di Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi — ha invitato la Chiesa e la società a “credere nella famiglia” e ha invitato la famiglia a credere in sé stessa: «Dio crede fermamente nella famiglia. Fin dall’inizio, dal “principio”, creando l’essere umano a sua immagine e somiglianza, maschio e femmina, ha voluto collocare al centro del suo progetto la realtà dell’amore tra l’uomo e la donna. Il fatto che Dio abbia posto la famiglia come fondamento della convivenza umana e come paradigma della vita ecclesiale, esige da parte di tutti una risposta decisa e convinta. Nella Familiaris consortio, di cui ricorre il ventennale, ebbi a dire: “Famiglia, diventa ciò che sei (cfr n. 17). Oggi aggiungo: “Famiglia, credi in ciò che sei”; credi nella tua vocazione ad essere segno luminoso dell’amore di Dio».

In un sistema democratico diventa fondamentale dare voce alle ragioni che motivano la difesa della famiglia fondata sul matrimonio. Essa è la principale fonte di speranza per il futuro dell’umanità. La nostra speranza è quindi che singoli, comunità e soggetti sociali credano sempre più nella famiglia fondata sul matrimonio, luogo di amore e di autentica solidarietà. Se la famiglia oggi merita un atto di fede, ciò non è giustificato dalla convinzione che essa sia perfetta, ma soprattutto dal “mistero grande” che essa racchiude, dalla realtà teologica che essa rappresenta. Dobbiamo guardare con fede alla famiglia, intuendo il mistero profondo che c’è dentro ogni vicenda familiare: un mistero spesso nascosto e reso indecifrabile dalla povertà umana ma comunque presente per la grazia di Dio.

La famiglia è un segno che Dio ha posto tra gli uomini per parlare a loro di Sé attraverso una testimonianza umana; è un dono che Dio suscita nella comunità per la crescita di tutti. Possiamo “credere nella famiglia” perché ogni storia di vero amore è una storia abitata da Dio, una “storia sacra”: Dio si è compromesso con gli sposi nel sacramento e, dal momento che egli è un Dio “fedele, perché non può rinnegare se stesso’’, non li abbandona più, nemmeno quando la loro vicenda diventa difficile o si impoverisce, nemmeno quando incontra il fallimento umano di un progetto.

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