“Gesù come un amico buono chiama a sé chi è stanco e oppresso”

(Commento al Vangelo di don Simone Calabria)

Qualche domenica fa’ abbiamo detto che il nostro Dio è un Dio che si interessa delle persone, di ognuno di noi, che si fa’ vicino a noi.

Il Vangelo di questa Domenica ci richiama alla condizione di discepolanza che ogni credente deve vivere. È chiaramente espressa nella preghiera di Gesù al Padre: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli”.

È un periodo questo d’insuccessi per il ministero di Gesù: contestato dall’istituzione religiosa, rifiutato dalle città attorno al lago. Gesù ha improvvisamente come un sussulto di stupore nel cuore, un capovolgimento inatteso: “Padre, ho capito e ti rendo lode”. Attorno a Gesù il posto sembrava rimasto vuoto, si erano allontanati i sapienti, gli scribi, i sacerdoti, ed ecco che il posto lo riempiono i piccoli: i poveri, i malati, le vedove, i bambini…i preferiti da Dio.

“Ti ringrazio, Padre, perché hai parlato a loro, e loro ti hanno capito”. I piccoli sono le colonne segrete della storia. Gesù vede e capisce la logica di Dio, la sua tenerezza comincia dagli ultimi della fila, dai bastonati della vita. Non è difficile Dio: sta al fianco dei piccoli, dei poveri, porta quel pane d’amore di cui ha bisogno ogni cuore stanco… E ogni cuore è stanco. l’animo umano ha estremo bisogno di un segno d’affetto. 

La volontà di Dio è proprio questa: conoscere Gesù e per conoscerlo bisogna tornare ad essere “piccoli”. Solo ai “piccoli”, infatti, appartiene il Regno. 

“Piccolo” è chi riconosce il proprio limite e la propria fragilità, chi sente il bisogno di Dio, lo cerca e si affida a lui. Il testo evangelico, pertanto, quando parla con tono dispregiativo dei “dotti e sapienti” non si riferisce a coloro che con fatica ricercano la verità e il miglioramento della vita personale e collettiva. Tutt’altro. Intende piuttosto quell’atteggiamento degli scribi e dei farisei.

Costoro si sentono a posto davanti a Dio, si ritengono conoscitori delle cose di Dio da non avere il minimo di inquietudine; sono così sazi di se stessi che non sentono il bisogno di stendere la mano per chiedere aiuto a Dio.

Questa autosufficienza, inoltre, si accompagna al disprezzo per gli altri, come Gesù stesso ci mostra nella parabola del fariseo e del pubblicano: il primo prega in piedi davanti all’altare mentre il secondo, prostrato, in fondo, si batte il petto, pentito. Eppure, aggiunge Gesù, è proprio quest’ultimo ad essere giustificato. È a uomini come questi che Gesù dice: “Venite a me, voi che siete stanchi e oppressi, ed io vi darò ristoro”. 

Il Signore, come un amico buono, chiama a sé tutti coloro che sono affaticati e appesantiti dagli eventi dalla vita: da quel pubblicano al piccolo gruppo di uomini e donne che lo seguono, sino alle folle prive di speranza, oppresse dallo strapotere dei ricchi, colpite dalla violenza della guerra, della fame, dell’ingiustizia. Su tutte queste folle e su tutti noi dovrebbero, oggi, risuonare le parole del Signore: “Venite a me, io vi darò ristoro”. Il ristoro non è altro che Gesù stesso: riposarci sul suo petto e nutrirci della sua Parola. Solo Gesù può aggiungere: “Prendete il mio giogo sopra di voi”. Non parla del “giogo della legge”, imposto dai farisei. Il giogo di cui parla Gesù è il Vangelo, esigente e assieme dolce, appunto come Lui.

Per questo aggiunge: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore”. “Imparate da me”: ossia divenite miei discepoli. Ne abbiamo bisogno noi; e soprattutto ne hanno bisogno le numerose folle di questo mondo che aspettano di ascoltare ancora l’invito di Gesù: “Venite e troverete ristoro”. Amen.

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