OMELIA Sanremese 2024

“E mi hanno detto che la vita è preziosa…” dice Angelina nella canzone vincitrice al Festival 2024… È vero la vita è preziosa, ma a volte abbiamo quasi l’impressione che la vita vada in pezzi, proprio come il corpo di un lebbroso.

Ci sentiamo morire lentamente, senza la speranza di tornare a vivere.
1.La malattia dell’isolamento
E mi sembra di ascoltare nella canzone di Annalisa le parole del lebbroso di questa domenica : “Anche se a volte mi nascondo, sto tremando, sto tremando, sto facendo un passo indietro e uno avanti, di nuovo sotto un treno” E’ vero… a volte a causa dei nostri limiti o delle nostre fragilità giochiamo nella vita
a nascondino. Per paura di mostrarci fragili o limitati, ci escludiamo dalle relazioni.

Sembra di rivivere le prescrizioni mosaiche che doveva osservare un malato di lebbra: il forte isolamento non era solo prescritto, ma doveva essere persino suscitato dallo stesso lebbroso, obbligato a respingere ogni avvicinamento umano attraverso il grido: «Impuro! Impuro!» (Lv 13,45), ricordando in tal modo, a sé e agli altri, la propria miserabile condizione di malattia. Sebbene la lebbra sia, in molte parti del mondo, una malattia trattabile e gestibile grazie al progresso della medicina, dobbiamo riconoscere che nuove e ugualmente terribili forme di esclusione sono presenti anche nel nostro tempo. Infatti, la lebbra di cui parla la Scrittura non è solo una malattia fisica, ma il simbolo di ogni solitudine in cui possiamo improvvisamente trovarci.

La lebbra che tutti viviamo è quella dell’isolamento, della solitudine, dell’esclusione. A volte ci escludiamo dalle relazioni o escludiamo altri a vivere delle relazioni generative e feconde. Credo che, il primo passo perchè avvenga la guarigione, sia uscire allo scoperto, proprio come il lebbroso che va da Gesù, e chiamare per nome le nostre “lebbre quotidiane”. Nella canzone Fragili, il Tre canta un inno alla fragilità e dice in un passaggio: “E so che non è facile volersi bene, stare in catene…ma siamo fragili” . A volte per volersi bene, basterebbe riconoscerci fragili, bisognosi che qualcuno venga a toccarci e a portaci fuori dalle nostre solitudini.

2. Compromettersi
E infatti Gesù ridona valore a questa persona e la rimette al centro di una relazione «Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò…» (Mc 1,41).
Sembra quasi che in questo incontro con Gesù il nostro lebbroso faccia sue le parole di Mr Rain nella canzone “Due altalene”: “Non c’era nessuno intorno a me ma tu c’eri lo ricordo. Mi hai curato quelle cicatrici che non può guarire nemmeno l’inchiostro”. Gesù si accorge di questa persona, la tocca nella sua impurità, nella sua sporcizia, rivelando così il senso profondo della sua missione: avvicinarsi alla povertà di ogni uomo per strapparlo dalle tenebre della rassegnazione. È importante notare che quest’uomo viene toccato mentre è impuro, a testimonianza che a Dio interessiamo più noi che le nostre imperfezioni. Infatti, noi veniamo raggiunti dal suo amore prima di ogni nostra opera e di qualsiasi merito, perché agli occhi di Dio siamo amati prima di essere amabili. Gesù si compromette con la nostra impurità, ci tocca a costo di essere lui l’impuro, e quindi sottoposto all’isolamento per contagio: lui
“cerca l’ultima parte di me che crede ancora che sia possibile”, come canta Diodato.
L’incontro con Gesù rende la vita di quest’uomo escluso e isolato, “ un capolavoro” come canta il trio del Volo. Prima del suo tocco, nella vita di quest’uomo “non c’era niente di buono”; ora è ridonato a vivere il dono di relazioni nuove.

Gesù viene e tocca anche la tua vita perché essa torni ad essere quel Capolavoro pensato e voluto da Dio. Marco annota la ferma volontà che Gesù ha di purificare quest’uomo: “Lo voglio, sii purificato!”(Mc 1,40): questa è la ferma volontà che Dio ha anche per la tua vita, e cioè che essa torni a risplendere come un capolavoro di relazioni.

3. Non dire, ma mostrati
Ciò che però rende singolare questo racconto evangelico è la severità che Gesù usa con il lebbroso: dopo la guarigione “Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro”. (Mc 1,44). Ma il lebbroso, appena lontano da Gesù, si mise a divulgare a tutti il fatto. Non corriamo anche noi il rischio di pubblicare e notificare troppo in fretta agli altri quei momenti in cui ci sembra di aver vissuto qualcosa di bello? E’ proprio vero: non siamo capaci di gustare interiormente quei momenti che ci salvano la vita, perché siamo sempre presi a dover postare o condividere. A volte condividiamo talmente tanto sui social, che non abbiamo più tempo di far condividere i nostri cuori con le nostre menti… Quando viviamo la stessa dinamica pubblicitaria del lebbroso guarito rischiamo di restare sempre sulla superficie delle cose. Gesù lo invita: “Mostrati!”. Ma quell’uomo, sicuramente pieno di cicatrici e ferite causate dalla lebbra, preferisce nasconderle con la notorietà e lavisibilità. Quante volte non siamo capaci di mostrarci per quel che siamo, con tutto il carico di ferite e cicatrici, e giochiamo a coprirci con tentativi di notorietà e
pubblicità. Il testo dei Negramaro, presentato al Festival, ci invita a ricominciare e ripartire, sapendo gustare dentro noi stessi (lontani dalla gente) la bellezza che ci salva “Tanto si riparte, non so nemmeno dove tu dici andiamo ovunque, basta sia lontano dalla gente!”
E allora riconoscendo la lebbra di isolamento e solitudine di cui a volte siamo affetti, facendoci toccare da Gesù e gustando interiormente i doni ricevut, saremo, come ci augura la canzone di Clara, “oro nei fallimenti!”.

Don Gianmarco Medoro

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