Pentecoste: lo Spirito Santo è il segno della presenza viva di Cristo

(Commento al Vangelo di don Mario Pagan)

Pasqua e Pentecoste costituiscono un unico mistero di salvezza così come morte, risurrezione, ascensione, dono dello Spirito Santo. Mistero così denso e così ricco di implicazioni che ha bisogno di essere svolto adagio per venire compreso e gustato.

Si può effettivamente dire che la Pentecoste conclude la celebrazione della Pasqua cos+ come il dono dello Spirito Santo è l’effetto essenziale della morte e risurrezione del Signore. Per questo san Luca nota che “si compie il giorno della Pentecoste”. (così il testo greco): si compie nel momento in cui lo Spirito viene donato e inaugura così il tempo della Chiesa.

Vorrei sottolineare gli elementi che Luca nota in questa esperienza: si tratta anzitutto di esperienza comunitaria (si trovavano tutti insieme nello stesso luogo); avviene qualcosa che richiama da vicino l’esperienza del Sinai (la teofania: un rombo, il vento gagliardo, le lingue di fuoco); a differenza, però, dell’esperienza sinaitica qui si tratta di un evento di portata universale (gente “di ogni nazione che è sotto il cielo”); infine –ed è cosa degna di essere sottolineata – questa universalità viene sperimentata quando si proclamano le grandi opere di Dio.

E’ motivo di commozione perla comunità cristiana potersi riconoscere in questa narrazione di Luca, poter vedere come ancor oggi queste cose siano vere.

Il giorno di Pentecoste è nato un nuovo popolo di Dio, un popolo oggetto di amore e delicatezza infinita da parte di Dio, ma nello stesso tempo un popolo che supera ogni confine di lingua, di cultura, di usanze; un popolo che “ha come fine il regno di Dio, come condizione la libertà dei suoi figli, come statuto il precetto dell’amore”.

Quella proclamazione di novità che Luca presenta sul grande scenario della storia della salvezza. Giovanni la traduce nella trasformazione interiore dell’uomo. Parla di una testimonianza interiore dello Spirito che è sorgente e condizione della testimonianza esterna del credente. Non basta – sebbene sia necessario – che i discepoli siano stati con Gesù fin da principio, abbiano ascoltato le sue parole e conosciuto le sue opere. Essi potranno essere davvero testimoni solo se interiormente lo Spirito Santo avrà suscitato in essi una profonda convinzione.

Rendere testimonianza a Gesù significa proclamare che egli è il Figlio di Dio, il rivelatore del Padre. E per poter dire questo non è sufficiente una conoscenza esterna, si richiede una percezione di fede; e una percezione tale che abbia la forza dell’esperienza, che sappia quindi contrastare vittoriosamente tutti i dubbi, le obiezioni, gli scherni, che verranno inevitabilmente dal mondo e che cercheranno di impedire la proclamazione del Vangelo.

Lo Spirito Santo è donato proprio perché il credente non si lasci avvilire ma sappia contrastare vittoriosamente lo spirito del mondo. Certo, lo Spirito santo” non parla da sé”, non ha verità nuove da fare conoscere, non trasmette una scienza esoterica; non fa altro che parlare di Gesù e “guiderà alla verità tutta intera” permettendo di comprendere in profondità parole e gesti del Signore.

Si può dire che il Vangelo di Giovanni è il frutto più bello di quest’opera dello Spirito Santo. Lì i fatti della vita di Gesù vengono raccontati, ma non con una pura esattezza esterna, piuttosto con una comprensione cordiale che mette in una sintonia interiore con Cristo. Non è possibile una vera conoscenza di Cristo che non sia nello Spirito così come non è autentico Spirito di Dio quello che non si riferisce a Gesù Cristo e alla sua rivelazione.

La Pentecoste segna così il passaggio verso uno stile nuovo di convivenza, uno spirito e uno stile che è plasmato in noi dal dono dell’amore di Dio, dalla presenza dello Spirito Santo.

Allora, e solo allora, nasce in noi la vita nuova auspicata da Paolo producendo frutti di amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé.

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