Massimo De Meo, “era un grande”

Mia mamma ci ripeteva spesso un detto “Il bene porta altro bene”. Massimo De Meo è stato un ragazzo che è vissuto solo 28 anni ma è vissuto facendo sempre del bene. Sono passati 18 anni da quando in  seguito a un brutto incidente è venuto a mancare, eppure il suo ricordo è ancora vivo in tutti coloro che l’hanno conosciuto. Di seguito l’intervista alla sua mamma.

Chi era Massimo?

Era semplicemente un grande. Aveva un cuore d’oro. Anche se ha vissuto solo 28 anni, le sue scelte di vita erano quelle che dovremmo fare un po’ tutti. Dopo il lavoro, dedicava il suo tempo a Dio, la Chiesa e il suo prossimo. Molto del bene che ha fatto io l’ho saputo solo dopo. Figurati dopo la processione di san Vitale scorso, mi ha fermato un signore su una sedia a rotelle e mi ha detto che mio figlio spesso l’aiutava e una volta si era preso anche una multa perché per aiutarlo ad attraversare aveva accostato la sua macchina dove non poteva. Anche da solo si recava a trovare i vecchietti del Sant’Onofrio e dell’Oasi dell’anziano. A Natale riempiva la macchina di panettoni e spumanti e li portava a chi aveva bisogno. Mi diceva sempre “mamma quei vecchietti mi aspettano”. Insieme a don Raimondo Artese, Eugenio Di Petta, Daniele Fortunato, Isabella Altieri, e altri, aveva iniziato il cammino degli scout qui a San Salvo. Non c’era campeggio e servizio scout a cui mancava. Era sempre presente perché amava profondamente quel cammino. Due anni prima del suo incidente, lui, Pina e Graziano Ialacci, Pina Pani, Adele e Giuliano Simone avevano voluto fondare una sezione dell’associazione Aido (Associazione Italiana Donazione Organi) qui a San Salvo. La sera stessa che l’avevano fondato, mi ha mostrato con orgoglio il suo tesserino di iscrizione e mi ha detto “mamma sai mi sono iscritto all’Aido e nel caso mi succede qualcosa voglio che i miei organi siano donati così anche dopo la morte potrò aiutare qualcuno.” In seguito all’incidente è stato il primo a San Salvo che ha donato un organo. Dopo la sua morte l’associazione di San Salvo è stata intitolata a mio figlio.

Come gli è venuta questa dedizione a Dio e al prossimo?

Massimo era il mio quarto e ultimo figlio maschio. Noi siamo venuti da Milano qui a San Salvo nel 1979 perché mio marito era stato trasferito dalla ex Magneti Marelli in qualità di tecnico specializzato. Massimo aveva 9 anni ed era l’anno in cui doveva fare la comunione. E dopo quel giorno è entrato nella parrocchia di san Giuseppe e non ne è uscito più. Si è sentito accolto dalla comunità e dai sacerdoti, prima don Cirillo e don Raimondo dopo. Ha voluto imparare a suonare la chitarra perché sapeva che era uno strumento che univa e che poteva servire in chiesa. Quando vado nella chiesa di san Giuseppe ho davvero la sensazione che lui sia ancora lì a servire in chissà quanti modi il suo Signore.

Ha mai pensato di diventare un sacerdote?

Si a diciassette anni aveva pensato che si voleva fare frate ma subito si è accorto che non aveva una vocazione vera. Aveva comunque un bellissimo rapporto con Dio. Amava leggere la bibbia e appuntare su dei foglietti dei pensieri o dei salmi e frasi che lo colpivano.

“La tua bontà è davanti ai miei occhi e nella tua verità dirigo i miei passi”

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