Tra Dio e Cesare.

IX settimana del Tempo Ordinario – Martedì

San Giustino, martire – MEMORIA

Commento al Vangelo – Mc 12, 13-17

A cura di don Giovanni Boezzi

Gesù non aveva più tregua. I capi del popolo erano sempre a caccia di un pretesto per poterlo accusare. Questa volta fu incaricata una delegazione di erodiani e farisei per tentare di coglierlo in fallo. La trappola era particolarmente insidiosa, infatti quella che a noi potrebbe sembrare una domanda di poco conto, era invece un tentativo di far uscire Gesù allo scoperto su un argomento politico cruciale che divideva le varie fazioni politico-religiose in Israele: bisognava sottomettersi ai romani oppure era giusto ribellarsi? Era lecito, o no, pagare il tributo a Cesare? Avrebbero dovuto pagarlo oppure rifiutarsi di farlo? Se Gesù avesse risposto affermativamente alla loro domanda, essi ne avrebbero approfittato per screditarlo agli occhi del popolo come uno che appoggiava il dominatore romano e questo lo avrebbe squalificato come Messia agli occhi di tutti. Gli israeliti, infatti, pagavano a malincuore il tributo a Cesare, simbolo del dominio di Roma. Essi aspettavano che il Messia li liberasse dai nemici, non che li invitasse a pagare loro un tributo! Se invece Gesù avesse risposto negativamente, gli Erodiani sarebbero stati lì apposta, come rappresentanti di Erode e del potere romano, per arrestarlo con l’accusa di ribellione nei confronti di Roma. Gesù attirò la loro attenzione sul fatto che il denaro che loro dovevano pagare per le tasse era stato coniato dai romani ed apparteneva all’imperatore. Che a loro piacesse o no, i Romani li avevano soggiogati, avevano occupato la loro terra e imposto le proprie monete. Quel denaro apparteneva evidentemente a Cesare. Le monete romane riportavano l’effigie di un uomo che credeva di essere un Dio, quindi non era certamente qualcosa che, come Ebrei, avrebbero dovuto apprezzare. Eppure, essi amavano quel denaro e Gesù lo sapeva bene. Erano pronti a rinunciare al denaro di Cesare pur di vedere la manifestazione del regno di Dio? Erano pronti a dire: “Che Cesare si tenga le sue monete! Noi serviremo il nostro Dio e seguiremo il Messia!”? Egli avrebbe potuto liberarli dal potere politico dei Romani se essi si fossero lasciati anche liberare dalle catene spirituali che li imprigionavano. Ma Gesù sapeva che essi non erano pronti a farlo… In fondo preferivano tenersi il denaro di Cesare e rinunciare al loro Messia e quindi al regno di Dio. Qualche tempo dopo, quando Gesù fu crocifisso, l’urlo della folla che, incitata proprio dai capi del popolo, diceva “Non abbiamo altro re che Cesare” (Gv 19,15) dimostrò che la preoccupazione di Gesù era ben fondata. Essi avevano dato ai romani ben più che le loro tasse, rifiutando il proprio Messia per restare sotto il dominio di Cesare, proprio come quegli Israeliti sotto Mosè che volevano ritornare in Egitto. Nel leggere questo brano riflettiamo sul modo in cui a volte tentiamo Dio nello stesso modo chiedendogli di liberarci ma, allo stesso tempo, dimostrando di stare bene nel peccato in cui ci troviamo. Se ci interessa più il denaro di Cesare che il regno di Dio, ricordiamoci che Gesù conosce la nostra ipocrisia come conosceva quella di quei farisei e di quegli erodiani.

Oggi prego con il Salmo 111

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Dal vangelo secondo Marco (12, 13-17)

In quel tempo, mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso. Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?».
Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio».
E rimasero ammirati di lui. 

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