Riconoscere il valore della famiglia

Rubrica a cura di Don Giovanni Boezzi delegato dai sacerdoti della Zona Pastorale di Vasto per la Famiglia

Carissimi, si tratta oggi di recuperare quel nesso che non può essere evitato tra società e famiglia, fondato ed argomentato con efficacia già nel 1981, da Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio che a più di trent’anni dalla sua pubblicazione rimane un documento di altissima attualità.

«L’ultima connessione tra la famiglia e la società, come esige l’apertura e la partecipazione della famiglia alla società e al suo sviluppo, così impone che la società non venga mai meno al suo fondamentale compito di rispettare e di promuovere la famiglia stessa. Certamente la famiglia e la società hanno una funzione complementare nella difesa e nella promozione del bene di tutti gli uomini e di ogni uomo. Ma la società, e più specificatamente lo Stato, devono riconoscere che la famiglia è “una società che gode di un diritto proprio e primordiale” (Dignitatis Humanae, n. 5), e quindi nelle loro relazioni con la famiglia sono gravemente obbligati ad attenersi al principio di sussidiarietà» (FC, n. 45).

È proprio dal riconoscimento della famiglia come cellula fondante e fondamentale della società che deriva un compito ben preciso per la società: essere a servizio della famiglia, per promuoverla e rafforzarla, mediante il principio di sussidiarietà.

In Amoris laetitia troviamo scritto: «Nessuno può pensare che indebolire la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio sia qualcosa che giova alla società […]. Nessuna unione precaria o chiusa alla trasmissione della vita ci assicura il futuro della società. Ma chi si occupa oggi di sostenere i coniugi, di aiutarli a superare i rischi che li minacciano, di accompagnarli nel loro ruolo educativo, di stimolare la stabilità dell’unione coniugale?» (AL 52). Anche Papa Francesco conferma che la famiglia è un bene per la società non perché conserva il Patrimonio (famiglia funzionale), ma perché possiede uno specifico valore aggiunto, che consiste nella capacità di produrre beni sociali relazionali (famiglia relazionale), che vanno dal fatto di stimolare il senso altruistico dell’esistenza, alla fiducia interpersonale, al costruirsi delle regole di vita fino ai valori della generatività come reciprocità del dono della vita, a valori economici di redistribuzione del reddito e altro ancora, necessariamente intrecciati tra di loro.

In sintesi, «il valore aggiunto della famiglia sta nell’offrire un modello fiduciario di vita che genera capitale umano e sociale primario, mentre nelle altre forme di convivenza il valore aggiunto è quello di un modello negoziale di vita che, enfatizzando la ricerca dell’auto-realizzazione individuale, tende piuttosto a consumare il capitale sociale e umano» (Ottavo rapporto del CISF sulla famiglia in Italia, ed. San Paolo 2003).

Non è la famiglia a servizio della società, in un’ottica totalmente opposta a quella dominante: oggi anche la famiglia è considerata, a livello funzionalistico, come luogo nel quale si generano uomini, ma non si genera società – a seconda degli interessi – elettori, contribuenti, lavoratori, fruitori di servizi, ma non persone libere e responsabili capaci di costruire futuro. Quest’ottica viene completamente rovesciata, ancora nell’ambito della Familiaris Consortio: «In forza di tale principio [di sussidiarietà] lo Stato non può né deve sottrarre alle famiglie quei compiti che esse possono ugualmente svolgere bene da sole o liberamente associate, ma positivamente favorire e sollecitare al massimo l’iniziativa responsabile delle famiglie. Convinte che il bene della famiglia costituisce un valore indispensabile e irrinunciabile della comunità civile, le autorità pubbliche devono fare il possibile per assicurare alle famiglie tutti quegli aiuti – economici, sociali, educativi, politici, culturali – di cui hanno bisogno per far fronte in modo umano a tutte le loro responsabilità» (FC, n. 45).

La famiglia, dunque, può e deve essere generatrice di bene comune, ma questo suo generare bene comune non può che stare dentro ad una alleanza esplicita, consapevole tra scelte familiari e contesto sociale, termine in cui vanno inseriti le politiche, la comunità ecclesiale, la modalità in cui la società civile si organizza. Se manca l’idea del dover mettere insieme esperienza familiare ed esperienza del sociale, la famiglia viene confinata in una privatizzazione totale e si favoriscono comportamenti privatizzanti e corporativi. Se invece si costruiscono ponti tra famiglia e società, se si creano possibilità di alleanza, la potenzialità del bene comune della famiglia, che sicuramente c’è, potrà essere trovata, promossa e valorizzata.

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