Ecco la missione per il credente di ogni tempo: pregare per “svegliare” Dio

(Commento al Vangelo di don Andrea Manzone)

«Le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove»

L’ascolto del Vangelo di questa domenica mi riporta alla memoria un ricordo. Nel 2008, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù a Sidney, ci portarono in pieno Oceano Pacifico a vedere le balene. Piccolo particolare: quel giorno il mare era molto agitato, le onde erano alte e la barca che ci trasportava prendeva acqua da tutte le parti. Dopo un’oretta circa molti stettero male e non pochi furono presi da attacchi di panico. Mancavano ancora due ore al rientro e la sensazione era opprimente: sembrava davvero di fare una brutta fine, che quella situazione fosse irreversibile, nonostante il sorriso del personale di bordo occupato a soccorrerci. Quel giorno sperimentammo la paura di morire, la drammatica consapevolezza che qualcosa sarebbe potuto andare storto e che l’unica soluzione era urlare e sperare che il capitano tornasse presto indietro.

Non siete tutti venuti a vedere le balene con me, ma tutti abbiamo sperimentato almeno una volta nella vita la paura di ciò che – come la natura – sembra toglierci tutto e che dunque ci spinge ad urlare. Ma ciò che stupisce del vangelo odierno non è la tempesta bensì il sonno di Gesù. E la domanda dei discepoli potrebbe essere il punto di partenza per imparare a pregare: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Non ci stupisce la tempesta, che il male si abbatta contro di noi: nella prima lettura abbiamo ascoltato Dio stesso rassicurare Giobbe sul fatto che la potenza del mare, della natura e di quanto ci sovrasta rientra nei limiti posti da lui stesso. Non ci spaventa nemmeno la morte in sé, poiché Paolo nella seconda lettura ci rassicura sul fatto che «tutti sono morti» in Cristo e che tutti vivono in lui.

Ma ci tremano i polsi al solo pensiero che Dio possa essere indifferente alle nostre sofferenze, alle potenze di ogni natura che sembrano schiacciarci, sballottarci qua e là e perfino ucciderci. Temiamo l’indifferenza di Dio, temiamo il sonno di Dio.Il sonno della ragione genera mostri”, scriveva l’artista F. Goya; il sonno di Dio genera disperazione.

Ecco dunque la missione per il credente di ogni tempo: egli non può placare le tempeste, ma svegliare chi ha il potere di farlo. Non può evitare la paura, ma può correre verso la parte più alta della nave e dire al Signore, con le parole del salmista: “Svegliati, perché dormi, Signore?” (Sal 44,24). Noi possiamo pregare! Se la nostra preghiera avrà almeno questa intensità sarà in grado di svegliare Dio ma soprattutto sarà in grado di svegliare noi dal sonno della nostra poca fede: «Le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove» (2Cor 5,17).

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