“Siamo chiamati a vivere come gli invitati a una festa”

(Commento al Vangelo di don Andrea Manzone)

Ai tempi di Gesù, come oggi d’altronde, parlare di nozze è un argomento scottante. Scherzando (ma non molto) si può dire che ricevere un invito a nozze è spesso tutt’altro che piacevole. Ci sono spese, fastidi e spesso ciò che dovrebbe essere una festa diventa una croce. Gli stessi sposi arrivano al matrimonio esausti dai preparativi, e quasi non vedono l’ora che “quel giorno” passi, non per il desiderio di far festa ma per togliersi dai piedi un mare di problemi. Ecco: una festa che diventa un fastidio, un problema.

Non è forse la sorte degli invitati a nozze della parabola di quest’oggi? I servi vanno a chiamare gli invitati, tutto è pronto, il cibo è abbondante e nutriente, la festa è assicurata ma… nessuno vi andò. Troppo impegnati ad andare ai campi, a curarsi degli affari per poter partecipare ad una festa. Gli stessi servi fanno una fine pessima: insultati, percossi, uccisi.

Sembra di vedere in filigrana quella che è la missione della chiesa di ogni tempo: annunciare al mondo che il Padre ha organizzato un festa di nozze per il Figlio, e che la Chiesa, il popolo convocato e radunato è la Sposa amata. Ma questa filigrana è troppo, troppo sottile: chi, tra quanti non ancora hanno ricevuto questo invito, immaginano che Dio li chiami ad una festa? Spesso la festa di Dio (che è la sposa!) non appare come una festa, anzi: è così poco una festa da preferire il lavoro nei campi e gli affari. In effetti, non c’è niente di peggio di una festa che non è una festa.

Eppure, alla fine rimane solo la festa! L’immagine durissima del padrone che dà alle fiamme la città sembra quasi una nota di valore per i campi e gli affari: di ciò che sembra più redditizio di una festa non resta che cenere.
La seconda parabola parte con un nuovo tentativo del re, che invita i servi ad andare ai “crocicchi” delle strada; il termine greco indica la parte finale delle strade, le zone più lontane, periferiche e dimenticate. L’invito ha successo ed entrano tutti, buoni e cattivi. Non stupisce: non siamo stati trovati anche noi nei crocicchi delle nostra vita, quando per paura o per vergogna ci siamo rifugiati nel fondo della strada, rannicchiati persino nella speranza che nessuno ci vedesse? Il servo del Padre, Gesù Cristo, è venuto in persona a cercarci fino alla fine, fino alle pieghe più oscure della nostra vita, perché ha piacere che partecipiamo alla sua festa.

Mettere un abito nuovo, termine fratello di “abitudine”, può significare proprio questo: che vivere la vita come chi è chiamato ad una festa fa cambiare abito-abitudine alla nostra vita. Non più scalatori del mercato e degli affari, ma persone libere, perché solo chi è libero fa festa.

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