Cristo, mia speranza, è risorto!

«Surrexit Christus spes mea!». Cristo, mia speranza, è risorto: è l’annuncio gioioso che è risuonato ancora nella nostra assemblea con la lettura della sequenza, obbligatoria in questo giorno. Obbligatoria perché diventa tutt’uno con la Parola proclamata e con i testi eucologici, oggi particolarmente ricchi.

Nella prima lettura, Pietro fa memoria e si dichiara testimone di colui che «passò beneficando e risanando» e che Dio «ha risuscitato al terzo giorno». L’apostolo ci testimonia così che tutta la vita, la storia, la missione di Gesù è segno della benevolenza del Padre per i peccatori e il mistero del Crocifisso-Risorto ne è il culmine. E l’altro apostolo, Paolo, ci ricorda che nella Pasqua di Cristo c’è il fondamento della nostra speranza: «Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria» (seconda lettura alternativa). Insomma, la Pasqua di Cristo ci riguarda perché, mentre celebriamo la vittoria del Padre, in Cristo, sul peccato e sulla morte, celebriamo anche il nostro essere risorti con lui, così ci fa cantare il Prefazio odierno. Pasqua, allora, è terra di speranza!

La Pasqua di Cristo getta una luce di speranza sul nostro passato, anzitutto. Non c’è peccato, non c’è ombra di morte, non c’è caduta che non riceva, dalla Pasqua, la certezza del perdono. Il Cristo risorto ci mette in piedi, nella postura dei risorti. La Pasqua di Cristo ci apre alla speranza luminosa del nostro futuro, del «premio dell’immortalità futura», della possibilità di «giungere con animo esultante alla festa senza fine» (benedizione solenne). Dobbiamo riprendere a parlare di vita eterna: è nell’attesa della domenica senza tramonto, quando l’umanità intera entrerà nel riposo del Padre, che viviamo ogni impegno e ogni atto di fede e di carità della nostra vita terrena.

«Surrexit Christus spes mea!». Non c’è più spazio, per la disperazione, perché la luce di Pasqua ci dona occhi nuovi. La Maddalena vide (la pietra ribaltata), Pietro vide (i teli e il sudario); solo l’altro discepolo quello che Gesù amava, «vide e credette». Solo lui, che aveva gli occhi allagati dall’amore, arrivò alla fede. Con quegli occhi pasquali continueremo a vedere il buio, ma senza angoscia; vedremo ancora il male, ma senza inquietudine; sperimenteremo il dolore e la morte, ma senza disperazione. Sapremo cioè che buio, male, dolore e morte sono solo realtà penultime e che hanno diritto di cittadinanza solo all’undicesima ora. A mezzogiorno, nella pienezza del tempo, allo scorrere dell’ultima ora ci sarà posto solo per la luce, riverbero della presenza del Risorto.

È questo l’augurio più bello che possiamo scambiarci oggi. Dirci reciprocamente «Buona Pasqua» diventerà un annuncio e un anticipo di cieli nuovi e terre nuove; significherà trasmettere il brivido di un incontro con colui che è la fonte e il compimento di ogni nostra aspettativa; manifesterà il nostro desiderio di diventare, nonostante tutto, i testimoni della speranza per tutti i nostri fratelli e sorelle, soprattutto per chi è stanco, deluso e crede di non avere più il diritto di aspettarsi nulla dalla vita. Proprio per loro gridiamo oggi e sempre: «Surrexit Christus spes mea!».

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