“Avrai guadagnato il tuo fratello se…”

(Commento al Vangelo di don Gianni Boezzi)

E’ un tema difficile quello del Vangelo di oggi, che parla di correzione fraterna: un gesto, che deve essere, assolutamente, iscritto nell’ambito della carità:”…fuggite il male con orrore, scrive Paolo ai fedeli della comunità di Roma, attaccatevi al bene...” (Rm.12,9); ed è, appunto per conseguire, questo “bene” che, all’interno di una comunità, nel nostro caso, una comunità di credenti, i fratelli, in cammino verso una medesima meta, si aiutano, illuminandosi ed esortandosi a vicenda, nel caso qualcuno venga meno, si fermi o devii.

La correzione fraterna non è, mai, un discorso semplice, infatti, esso suppone che, all’interno della comunità, grande o piccola, non importa, si sia instaurato, e si viva realmente una buona dimensione fraterna, fatta di stima, di fiducia, di rispetto e di affetto sincero, quando non anche di profonda amicizia. Solo in un tessuto comunitario di questo tipo, è possibile un sereno reciproco richiamo, che non sia arrogante, offensivo, umiliante, che non abbia sapore di condanna e di giudizio, ma di sollecitudine nel bene, e per il bene, del singolo e di tutti. Molto spesso, il nostro sguardo è, lo sguardo di chi giudica, e che, istintivamente, condanna, e, talvolta, severamente; c’è solo uno sguardo, capace di salvare, e, questo, è lo sguardo di Dio, che libera e salva; ecco perché, la correzione fraterna, ha senso ed efficacia, solo, se nasce da un cuore misericordioso, che, prima di misurarsi sul fratello, si misura con l’amore sconfinato di Dio, il quale: “Non gode della morte del peccatore, ma piuttosto, che desista dalla sua condotta e viva” (Ez.18,23).

Ecco, la correzione fraterna ha questo scopo: illuminare i fratelli che, con noi, danno vita ad una medesima comunità, sia essa la famiglia, una cerchia di amici, un gruppo ecclesiale, o qualsiasi altro tipo di comunità, illuminarli, esortarli e aiutarli in tutti modi, percorrere assieme la via che Cristo ci ha indicato, abbandonando quelle scorciatoie, e quelle vie tortuose, che ci mettono in contrasto con la legge di Dio e con gli insegnamenti di Cristo. Quando parliamo di correzione fraterna, antichissima pratica delle comunità cristiane, non parliamo dunque, di un atteggiamento gretto, meschino, pedante, rigido, bigotto, che diventa facilmente ipocrita e disumano; parliamo di altro, che esige maturità, intelligenza, prudenza, delicatezza, e tolleranza; parliamo di una vigilanza affettuosa, che nasce da una fiducia reciproca, da una conoscenza profonda delle persone che ci stanno vicine, conoscenza della loro storia, dell’ambiente sociale culturale in cui si sono maturate, delle loro capacità, dei loro progetti e desideri, come anche delle loro fragilità, che possono indurli nella tentazione di lasciarsi sedurre, oggi più che mai, dai numerosi idoli, che la cultura corrente propone.

La correzione fraterna è, quindi, una parola amica, talvolta, una parola forte, ma che nasce dal cuore, una parola intelligente e ricca di umanità, che si fa eco della parola di Dio, per indicare al fratello, all’amico, la via sicura della salvezza, proteggendolo dalle chine pericolose, che conducono lontano da Dio. Anche, quando la correzione fraterna fallisce, la speranza non deve, mai, venir meno, né deve affievolirsi l’amore, secondo quel sublime modello, che Cristo ci ha svelato nella parabola del figlio prodigo, il giovane avventuriero, capace di sciupare, in breve tempo, un notevole capitale, eppure, sempre presente nel cuore di quel Padre, immagine di Dio, che, da lontano, scruta l’orizzonte, col desiderio di veder, finalmente, spuntare la figura di quel figlio “perduto” (Lc 15,20).

Come Lui, anche noi, senza stimarci migliori degli altri, dobbiamo attendere, con la speranza, tenuta viva dall’amore, che, chi si è allontanato, ritorni, per godere dell’abbraccio del Padre, del dono grande della comunione fraterna, e della felicità di sentirsi nuovamente a casa.

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