La trasfigurazione delle ferite diventano testimonianza di vita riconciliata e di misericordia

Commento al Vangelo di don Andrea Manzone

Ogni anno, la domenica dopo Pasqua, la liturgia ci fa ascoltare il Vangelo “di Tommaso, l’incredulo”. L’etichetta come spesso accade non rende molto giustizia ad un vangelo ricco di spunti di riflessione e di vita.

Il vangelo di oggi si svolge “da domenica a domenica”. Siamo alla sera di Pasqua, i discepoli hanno già ricevuto la buona notizia della risurrezione ma la paura continua ad avere il sopravvento: porte chiuse, timore dei giudei… non sembra proprio un vangelo pasquale! Ma Gesù, stando in mezzo a loro, esordisce con l’unico antidoto alla paura dicendo: «Pace a voi!».

La pace è il primo frutto della Pasqua: non l’assenza di guerre (di cui comunque abbiamo molto bisogno) ma l’ingresso in una realtà nuova, piena di vita e di riconciliazione; gli apostoli hanno bisogno della pace, soprattutto dopo l’abbandono di Gesù nell’orto degli ulivi. Tutti noi però abbiamo bisogno di questo dono pasquale, di essere riconciliati con Dio, con noi stessi e con la nostra storia di peccato e di grazia.

La seconda azione che Gesù compie è quella di mostrare le sue mani e il suo fianco, evidentemente squarciati dai chiodi e dalla lancia. Essi diventano così la carta d’identità di Gesù! Eppure l’arte delle arti della nostra umanità ferita è celare le ferite, nasconderle, lasciando tuttavia che essere prolifichino in ogni ambito della nostra esistenza: feriti, feriamo; feriti, continuiamo a perdere vita.

Il secondo frutto della Pasqua è proprio questo: la trasfigurazione delle ferite che, pur rimanendo lì, diventano per noi e per chi ci sta accanto testimonianza di vita riconciliata e di misericordia concreta. Non è un caso che questo evento produca nei discepoli un’ondata di gioia tale da volerlo riferire immediatamente agli assenti della sera.

È dunque legittima la richiesta di Tommaso: anche lui vuole fare questa esperienza di guarigione. Anche lui come gli altri vuole “toccare” Gesù, facilmente scambiato per un fantasma. Vuole inserire la mano (non il caravaggesco dito) nel fianco di Cristo per fare ciò che i cristiani dei secoli successivi chiederanno nella dolce preghiera dell’Anima Christi: “Intra tua vulnera absconde me – Nelle tue piaghe nascondimi”.

Pasqua è aggrapparsi al fianco di Cristo, cadere in ginocchio e riconoscere che solo Lui è il «mio Signore e mio Dio». Non le mie, ma le sue ferite traboccanti luce!

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