“Il cristiano sa accompagnare silenziosamente i fratelli e le sorelle anche e soprattutto là dove gli altri si fermano”

(Commento al Vangelo di don Gianluca Bracalante)

“Io ritengo che ciascuno di noi abbia in sé un non credente e un credente, che si parlano dentro, si interrogano a vicenda, si rimandano continuamente interrogazioni pungenti e inquietanti l’uno all’altro. Il non credente che è in me inquieta il credente che è in me e viceversa”. (Carlo Maria Martini)

Nella storia della Chiesa, la Seconda Domenica di Pasqua è stata chiamata per lungo tempo «in albis depositis» o semplicemente «in albis». Tale denominazione deriva dalla tradizione di far indossare la veste bianca, durante i momenti comunitari di preghiera, a coloro che avevano ricevuto il Battesimo nella grande Veglia Pasquale. L’ottavo giorno la veste bianca veniva deposta. Cominciavano a crescere, nutriti dalla Parola, coloro che erano nati alla fede nel Battesimo.

Nella società della fede self-service, in cui è ancora sbandierato il motto sessantottino “Cristo si Chiesa no”, abbiamo dimenticato cosa significa essere una comunità di credenti.  La Parola di Dio ci mette in profonda crisi perché nella Prima Lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, ci viene narrata la vita della Chiesa primitiva: 

  • erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli”: oggi, chi frequenta, tende a  prendere dal grande bagaglio della Chiesa ( Parola, Tradizione e Magistero) solo ciò che piace e fa comodo, rifiutando tutto ciò che mette in crisi la nostra mediocrità. Un esempio per tutti: quando papa Francesco parla di ecologia oppure di povertà gli applausi si sprecano, quando parla di aborto, eutanasia ecc si alzano muri enormi. Oggi si frequenta e si vive il Vangelo quando si vuole, se si vuole come si vuole. 
  • erano perseveranti nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere”: nelle nostre parrocchie,  molte volte, manca la comunione. Chi sta dentro da molto tempo non permette ad altri di entrare. Le fazioni tra partiti (parroco uscente ed entrante) creano divisioni non indifferenti e molte volte sono portate avanti dai preti stessi.  I gruppi parrocchiali sono in lite perenne, in una eterna lotta e discordia. Manca perseveranza e testimonianza nella vita di tutti i giorni. 

 Cosa fare per uscire dalla concezione della parrocchia come iper-mercato? Lo spiega Gesù a Tommaso nel Vangelo: bisogna credere per vedere e non il contrario. Per tornare ad essere credibili dobbiamo smetterla di “vendere prodotti” e dobbiamo tornare ad annunciare e a far fare esperienza solo e soltanto di Gesù Cristo. Il dibattito del 1968, evocato all’inizio,  provocò un bellissimo confronto  tra teologi in quel periodo. «Perché sono ancora cristiano?», si chiede Hans Urs von Balthasar. Perché il cristiano, risponde,«sa accompagnare silenziosamente i fratelli e le sorelle anche e soprattutto là dove gli altri si fermano». E perché sa che «quanto nella vita umana è assurdo e negativo trova senso e significato nell’incarnazione di Dio in Cristo: in lui l’Amore è riuscito a trasformare la solitudine della morte in una sofferenza che redime». «E perché mai restare nella Chiesa?», si chiede Joseph Ratzinger in seconda battuta. Io rimango nella Chiesa e la amo, risponde il teologo, perché «è la Chiesa che, al di là delle sue infedeltà e delle debolezze umane, ci può dare Gesù Cristo», l’unico che redime l’umanità e la storia. E inoltre perché «la fede, che è una vera necessità per ogni essere umano e per il mondo, è possibile soltanto in comunione con altri credenti». 

Don Gianluca Bracalante

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