Don Gilberto: “Nell’opera di Hunt, tutta l’umanità di Nostro Signore Gesù Cristo”

(Don Gilberto Ruzzi)

Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi

The Shadow of Death,  William Holman Hunt

Facciamo incursione nel microcosmo della pittura e dell’estetica preraffaelita, meglio ancora, nella produzione artistica del co-fondatore della Confraternita, William Holman Hunt. Il dipinto scelto riascoltando il Prologo del IV Evangelo, si intitola The Shadow of death, L’ombra della morte, ed è frutto del secondo viaggio in Terra Santa del pittore, realizzato tra il 1870 e il 1873 e conservato nella Manchester City Art Gallery

L’insolita composizione mostra un Gesù ormai adulto nella bottega da carpentiere, tra gli attrezzi, i trucioli di legno, che mostra una fisicità esuberante e non idealizzata. La posa che appare bizzarra, nelle intenzioni dell’artista, dovrebbe indicare il momento in cui il Salvatore, al termine di una giornata di lavoro si ferma ed alza le braccia per ringraziare Dio. Tutto è studiato perché la posizione renda verosimile l’ombra proiettata sulla parete di fondo e che richiama il Crocifisso, le cui braccia allargate sembrano inchiodate agli attrezzi appesi. Una tale “visione” richiama l’attenzione della figura femminile in basso a destra, della quale non vediamo il volto, ma sappiamo trattarsi della Madre del Signore, abbigliata secondo il costume arabo. La donna sta aprendo un baule nel quale si intravedono degli oggetti che dovrebbero essere i doni dei Magi. Ora bisogna ricordare che tutta la pittura Preraffaelita gioca e si esprime attraverso l’uso di elementi simbolici che lo stesso Hunt dissemina con dovizia anche in questa tela. Dalla cintura rossa in primo piano che alluderebbe alla corona di spine, agli attrezzi da carpentiere che rimanderebbero agli strumenti della passione, dai due melograni davanti alla finestra accanto al rotolo delle Scritture aperto.

Tuttavia, credo, che gli elementi simbolici più significativi nel dipinto siano altri: la nudità di Cristo che parla della sua umanità, la sua carne, che è brutalmente esposta nella sua cruda realtà – è il corpo di un uomo che lavora e conosce la fatica – e che è inserita non in uno scenario idealizzato, ma dentro una bottega di carpentiere, con i piedi immersi nei trucioli di legno, circondato dagli strumenti del lavoro quotidiano. Proprio questa umanità ostentata, quasi senza veli, causò una duplice reazione: da una parte il rifiuto della critica e dei circoli culturali che non potevano accettare lo squallore di quell’ambientazione associato alla figura del Cristo; dall’altra il successo tra le masse popolari e operaie che vedevano in questa immagine un’esaltazione del lavoro operaio, al punto che furono stampate e distribuite migliaia di riroduzioni del dipinto.

Credo che proprio quell’ombra che dà il nome al dipinto possa essere per noi evocativa del mistero dell’incarnazione. Scrive un monaco dei nostri giorni commentando la pagina del Vangelo odierno: 

La parola si è fatta carne … e noi abbiamo contemplato la sua gloria” (Gv 1,14). L’opacità della carne è la condizione necessaria per “vedere la gloria di Dio”. O forse, la luce della carne umana – svelata pienamente da Gesù di Nazaret – è la condizione per accedere al mistero di Dio… Dio abbisogna della parola umana. Il corpo e la parola di Gesù sono i luoghi privilegiati della manifestazione di Dio. Il corpo e la parola umani sono i luoghi in cui l’uomo risponde alla comunicazione di Dio”.

Un corpo ed una parola che si spingeranno fin dentro quell’ombra di morte assunta ed attraversata da Cristo con la passione e la croce.

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