Youssef, musulmano marocchino racconta la sua storia di integrazione
SAN SALVO. “Prima delle’essere un cristiano o un musulmano c’è l’umanità” con queste parole Youssef Tijaoui ha concluso una lunga intervista sulla sua vita.
Youssef è un marocchino musulmano, che insieme a sua moglie Sanaa MarYam e alle loro due bambine Fatima e Tassnim di 5 e 2 anni, vive a San Salvo, una città che considera una seconda terra.
Quando entri in casa Tijaoui spiccano i loro sorrisi e la loro incredibile capacità di accogliere. Di seguito l’intervista.
Chi è Youssef e come e perché sei venuto in Italia?
lo sono nato a Casablanca in Marocco il 10 ottobre del 1983 e sono il terzo di cinque figli. Nel mio paese ho fatto la scuola di tornitore e nel 2002 tramite uno zio, sono entrato a lavorare per la Telecom marocchina. Purtoppo il lavoro è durato poco. Vedendo che non trovavo lavoro, mio fratello mi propose di mettermi in società con lui e aprire un maglificio. Lavoravamo abbastanza e dovemmo anche assumere del personale. Dei clienti cominciarono a non saldare i loro debiti, pur restando senza soldi, riuscimmo a pagare i nostri dipendenti. A un certo punto mi ero stufato e volevo emigrare all’estero. C’era una famiglia vicina di casa in cui le femmine erano rimaste in Marocco e i maschi erano emigrati all’estero e si trovavano qui a San Salvo. Ci rivolgemmo a loro e ci dissero che occorrevano settemila euro. In casa ne avevamo solo due mila e allora mia mamma pensò di vendere la casa per darmi i soldi per emigrare e chiedere un mutuo per acquistarne un’altra. Consegnammo questi soldi e loro si preoccuparono di farmi avere il visto dal consolato. Arrivai qui a San Salvo e mi dissero: “Per ora puoi stare da noi. Stai tranquillo noi sistemiamo tutto”. lo mi aspettavo che subito avrei cominciato a lavorare. Ogni giorno chiedevo “ma quando comincio a lavorare”. MI portarono anche alla Questura di Vasto, per farmi prendere le impronte digitali.
Trascorsero cinque mesi ma di lavoro neanche l’ombra. A un certo punto mi buttarono fuori e mi minacciarono anche di non dire a nessuno che avevo dato loro quc soldi. Per fortuna era estate. Dormivo alla pineta di San Salvo Marina e tramite altri marocchini che stavano qui, scoprii che a Vasto c’era la Caritas che dava da mangiare gratis. Riuscii a trovare qualche piccolo lavoretto in uno stabilimento. Per me era bruttissimo, non conoscevo una parola di italiano. Finché era caldo era anche bello dormire fuori, ma poi è arrivato il freddo e nessuno, neanche i miei compaesani mi ospitarono. Un giorno andando a piedi a Vasto ho incontrato un altro marocchino, che come me non aveva dove vivere. Trovammo una casa diroccata, che aveva il tetto solo a metà, nei pressi del cimitero di Vasto: era pieno di siringhe e di topi. La ripulimmo alla meglio, prendemmo i cartoni che il fioraio che sta a fianco al cimitero metteva fuori, per ripararci dal freddo e vi alloggiammo per un po’. Per poterci lavare usufruivamo dei rubinetti del cimitero. Quando vedevo i loculi vuoti, desideravo mettermici dentro per stare al caldo. Ma avevamo paura di essere presi perché non avevamo il permesso di soggiorno. Stavo malissimo perché non conoscevo una parola di italiano. Tramite altri connazionali, scoprimmo che alla scuola Rossetti c’erano dei corsi serali per stranieri e cominciammo a frequentarli. Dopo qualche mese il mio compagno di sventura trovò lavoro a Gissi e il suo datore di lavoro gli offrì anche un alloggio gratis a Monteodorisio. C’erano anche altri lavoratori con lui. Finalmente arrivò il periodo di Pasqua e potei cominciare a lavorare per uno stabilimento balneare qui a San Salvo. Dei pescatori vedendomi che mi davo da fare nel lavoro mi chiesero di poter lavorare anche per loro. Lavoravo quasi non stop con pochissime ore di sonno.
Quando le cose sono cominciate ad andare meglio e grazie a chi?
Sulla mia strada ho incontrato due persone a dir poco meravigliose. Quando sono stato buttato fuori, da chi mi aveva chiesto quei sette mila euro, fui indirizzato da altri connazionali a un avvocato, Alessio. Non so perché, forse ha visto che ero una brava persona, ma mi ha preso davvero a cuore non mi ha fatto pagare neanche un soldo e non si è dato pace, finché non ho avuto il permesso di soggiorno. Per avere questo permesso mi serviva che qualcuno mi assumesse.
Ero disposto ad accollarmi tutti i costi, ma non trovavo nessuno. Una mia compaesana mi truffò. A un certo punto non sapevo più a chi rivolgermi. C’era un signore che avevo conosciuto per caso, che lavorava al Sert e ogni giorno che passavo davanti a quell’ufficio, per andare a scuola incrociavo il suo sguardo e ci salutavamo: buongiorno e buonasera. Ho pensato “provo a chiedere a lui”. E così feci, Massimo Abbati dopo aver capito che non lo volevo imbrogliare ha acconsentito ad assumermi come badante e non solo. Il giorno di Natale mi invitò a casa sua e dopo aver visto dove vivevo, mi chiese se volevo andare ad abitare a casa sua. Per varie vicissitudini della vita viveva da solo. In cambio, mi aveva chiesto solo di contribuire alle spese delle utenze quando avrei trovato lavoro. Ma conoscendolo, ho capito che me lo aveva chiesto solo per una mia dignità. In qualche modo trovava sempre il modo di ridarmi quei soldi. Dal 2009 e fino al 2012 andavo avanti con i lavori stagionali negli stabilimenti, con i pescatori e nelle campagne.
E tua moglie come e dove l’hai conosciuta?
Volevo far conoscere la mia famiglia a Massimo e quando c’è stata la possibilità siamo andati in Marocco. Un giorno accendendo il computer di casa, ho visto una foto di mia sorella con una sua collega maestra d’asilo. Mi innamorai subito del suo sorriso. Dopo un pò, neanche a farlo apposta, suonò al campanello perchè c’era una festa a casa nostra. Più la osservavo e più pensavo che era la donna giusta per me. Ne parlai in famiglia e scoprii che da tempo stavano pensando di farmela conoscere. Poi ne ho parlato anche con lei, avvertendola anche delle condizioni di precarietà in cui mi trovavo. E così a dicembre l’ho conosciuta e a ottobre successivo ci siamo sposati.
Consideriamo San Salvo la nostra seconda terra. Qui ci sentiamo a casa.