Orizzonti per educarsi al perdono

In dialogo con i fratelli e sorelle separati, divorziati, e divorziati risposati

Rubrica a cura di Don Giovanni Boezzi delegato dai sacerdoti della Zona Pastorale di Vasto per la Famiglia

Tutto questo non è facile. L’arte del perdono, al pari dell’arte di amare, rappresenta una conquista; non è frutto spontaneo o automatico. Come tale richiede una disciplina spirituale, senza cui è impossibile, specie per i coniugi separati che, a torto o a ragione, si sentono vittime dell’arroganza o della cattiveria altrui. Quali sono le tappe per attingere a quest’arte? Dando per scontato che ogni esperienza è unica e irripetibile, non sarà inutile tentare di tratteggiare almeno tre orizzonti indicativi. Il perdono infatti è il frutto di un insieme di atteggiamenti che toccano in profondità la nostra psicologia, ma suppone in pari tempo il dono della grazia che viene dal Signore Gesù, senza cui «non possiamo far niente» (Gv 15,5).

Guarire dalla «memoria» delle offese: il perdono non comporta che i ricordi dolorosi siano cancellati o che le ragioni del dissidio siano negate, ma piuttosto che si impari a guardare al vissuto proprio e altrui in un’ottica diversa, inclusa la possibilità di percepire quanto si è sperimentato come un momento di grazia e una scuola di vita da cui lasciarsi interpellare. La ragione occupa, in questo passaggio, un grande ruolo. Non si tratta di forzarsi a non ricordare oppure limitarsi a rimuovere il problema, come se non fosse mai esistito, ma imparare a guardarlo, oggettivandolo, e chiedersi in che modo sia possibile farlo proprio, con la certezza di fede che «niente è impossibile a Dio» (Lc 1,37). È necessario iniziare dall’accettazione della propria storia, smettere di ribellarsi per quanto è accaduto e guardare con speranza a una vita sicuramente diversa da quella che si era immaginata, ma non per questo meno vera, consapevoli del fatto che si è la vigna del Signore e il Signore è il suo guardiamo: «Io, il Signore, ne sono il guardiano, a ogni istante lo irrigo; per timore che la si danneggi, ne ho cura notte e giorno» (Is 27,3). La speranza di una rinascita può diventare, nonostante tutto, una grande forza per guarire dalla ferita e dalla sua memoria.

Lasciarsi plasmare dal cuore di Dio: il perdono rompe il cerchio del risentimento e apre al dono di un nuovo amore, libero da forme di aggressività e orientato alla benevolenza. La preghiera, nella conquista di questo itinerario, occupa un ruolo assolutamente decisivo. Solo grazie a essa, infatti, è possibile trovare la capacità di passare dall’atto del rifiuto a un nuovo affetto. Dio può suscitare un prato fiorito da un deserto. «Chi prega è nuovo ogni mattina», ha scritto qualcuno. Il credente che prega è in grado di rinnovarsi ogni giorno e di trovare nella preghiera la forza rigenerante dello Spirito, per guarire dalle ferite e aprirsi al cuore di Dio, con stupore e meraviglia: pregare è infatti situarsi dentro quel Cuore, portati da esso come su ali d’aquila.

Affidarsi alla grazia della pasqua: non sempre il percorso del perdono si sviluppa secondo tappe lineari; esso può presentarsi con situazioni complesse e ingarbugliate, che appaiono impossibili da superare. In simili casi, la riconciliazione tra i separati può essere recuperata solo con un grande spirito di sacrificio, accettando di vivere un’affettiva partecipazione al mistero pasquale di Gesù, dove la croce non è fine a se stessa, ma itinerario di grazia verso la vita: la morte infatti, nella pasqua, non è l’ultima parola, ma la via che conduce alla risurrezione. L’immagine del Crocifisso posta in ogni casa non rappresenta solo un ornamento esteriore; esprime la fede che niente è senza speranza, quando si è in cerca dell’amore vero, sincero e sofferto, come avviene sul Golgota. Allo stesso modo in cui il Figlio di Dio non ha abbandonato la Chiesa quando l’hanno innalzato sul Golgota, così ogni situazione di dolore conserva una sua forza di grazia anche quando conduce a vivere in una dimensione di oblazione crocifissa. I credenti sanno che il Risorto rimane con loro sempre, anche quando si sentono abbandonati o giudicati, oppure si trovano in situazioni di dolore e di morte spirituale. È questa la speranza che li sorregge; una speranza che non muore, perché fondata su Dio-Amore e sul suo Figlio, Gesù il Signore. Sempre Roberta (nome inventato) ci dice: «Il Risorto entra nella nostra casa a porte chiuse e mangia con noi. Durante la giornata è bello fermarsi in silenzio, per assaporare la sua presenza e sentirlo vicino. Egli non è un fantasma e meglio di chiunque altro sa cosa significhi umiliazioni, fino a morire perché altri abbiano la vita».

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