Michele e Giulia: “quando ricevi del bene, viene spontaneo fare del bene”

Il 31 ottobre del 2002 alle ore 11:32 un terremoto squarcia la vita dell’intera comunità di San Giuliano di Puglia in provincia di Campobasso. Perirono 30 persone di cui 27 bambini e una maestra sotto le macerie di una scuola. Le indagini giudiziarie sfociate in un processo, hanno stabilito che il crollo della scuola era stato determinato da responsabilità umane. Rabbia, dolore, gelosie e solidarietà hanno segnato e continuano a segnare in maniera indelebile il paese di San Giuliano. Di seguito la storia di una famiglia di quella comunità: gli Occhionero.

Com’era la vita della vostra famiglia prima di quel tragico giorno?

Io sono originario di Ururi e sono rimasto orfano di entrambi i genitori in giovane età. Ho conosciuto Giulia grazie a una comitiva di amici e appena ci siamo sposati abbiamo scelto San Giuliano come dimora per la nostra famiglia per diversi motivi uno dei quali è stato anche perché mi sono sentito davvero accolto. Si conoscevano tutti e ci si voleva davvero bene. Io continuavo a gestire l’attività agricola dei miei genitori e Giulia portava avanti il negozio di alimentari con annessa tabaccheria dei suoi genitori che nel frattempo si erano trasferirti a San Salvo. Nel 1994 è nato il nostro primo figlio Luigi e nel 1997 Giuseppe. Avevamo una vita serena come quella di tante altre famiglie. Luigi era un bambino buono, generoso, amava giocare a calcio, disegnare e suonare la chitarra. Era velocissimo a correre. L’ultimo ricordo che abbiamo di lui è della mattina prima di andare a scuola: ripassava geografia mentre strimpellava la sua chitarra; dopo l’ultimo bacio è corso via.

Cosa ricordate di quel terribile giorno?

Nella notte tra il 30 e il 31 ottobre erano già state avvertite tre scosse di terremoto. La mattina io ero andata al negozio e Michele in campagna. La scossa più forte si ebbe alle ore 11.32. Sul mio negozio caddero dei grossi massi dal palazzo Marchesale, da quest’ultimo crollarono dei grossi massi e uno di questi non mi sfiorò quasi. Riuscimmo a uscire indenni. Appena usciti io il pensiero mio e della mia cliente andò subito ai bambini. Ci dirigemmo immediatamente verso scuola che si trovava solo a pochi metri di distanza. Ci trovammo una scena apocalittica, polvere dappertutto, e la scuola crollata. Potevamo vedere il tetto della scuola! Gridavamo i nomi dei nostri figli. A singhiozzo riuscii ad avvisare mio marito con il telefonino. Dopo soli dieci minuti i primi ad arrivare furono i carabinieri. Fecero un cordolo umano intorno alla scuola per impedire a noi genitori di avvicinarci a quelle macerie. Nel giro di breve tempo arrivarono tutti gli altri, Vigili del fuoco, 118, Protezione Civile, Corpo Forestale a tanti altri. Dopo un pò arrivò anche mio marito e siccome quel giorno indossava una tuta verde lo scambiarono per un soccorritore e partecipò anche lui alle operazioni di soccorso: “chiamavamo i bambini per nome” ( racconta Michele). Quando sentivamo le sirene dell’ambulanza significava che erano riusciti a tirar fuori un bambino vivo. I bambini presenti nella scuola erano 54, ne perirono 27. Quando andammo a riconoscere nostro figlio al Palazzetto dello sport trovammo due frati e uno di questi ci disse “quando passa l’angelo della morte prende uno sì e uno no”.

Dopo il terremoto come è cambiata la vostra vita?

Si è letteralmente rivoluzionata, nulla era più uguale a prima! All’inizio eravamo solo immersi in questo grande dolore e non ci eravamo resi conto della gravità dell’accaduto. Figurati che un amico sacerdote mi aveva consegnato una busta con dei soldi. Non l’aprii subito perché pensavo che era tutt’altro. Quando li vidi mi offesi pure ma dopo qualche giorno mi resi conto che non avevamo più niente. Condividevamo lo stesso lutto con gli altri genitori che avevano perso un figlio, due coppie ne persero due contemporaneamente. Ognuno cercava di consolare l’altro! I nostri discorsi andavano sempre lì e tutt’ora è così. All’inizio vivevamo nelle tendopoli ma nell’arco di pochissimi mesi attrezzarono un villaggio di legno. La vita era diventata un incubo: stavo sempre al cimitero. Dopo qualche mese scoprimmo che ero incinta. Nel momento che l’abbiamo scoperto ci siamo abbracciati e abbiamo pianto tantissimo: c’era il dolore per la perdita di Luigi e in contemporanea l’immensa e indescrivibile gioia per questa nuova creatura che stava arrivando. Di lì a poco decidemmo di trasferirci dai miei genitori a San Salvo collaborando nella loro attività. Abbiamo vissuto con loro per tre anni. A un certo punto abbiamo sentito forte l’esigenza di riprendere le redini della nostra vita, soprattutto per il bene dei nostri figli Giuseppe ed Elena. Ci siamo reinventati, frequentato dei corsi e nel 2008 abbiamo aperto la nostra gelateria.

Sono trascorsi diversi anni da quel tragico giorno, come riuscite a lenire questa ferita, cosa vi aiuta ad andare avanti nonostante questo grande dolore?

Noi abbiamo avuto nostro figlio Luigi per soli 8 anni. Ricordare ogni singolo momento vissuto con lui ci rasserena. In questi anni purtroppo abbiamo incontrato anche tante gelosie e tante cattiverie ma abbiamo ricevuto anche tanta solidarietà da ogni punto di vista, soprattutto umana. Questa esperienza per quanto traumatica possa essere ci ha insegnato che la vita è bella e va vissuta facendo anche del bene agli altri. Noi ne abbiamo ricevuto tanto e questo ci fa sentire quasi in dovere di farne anche noi. Abbiamo deciso di festeggiare il compleanno di Luigi devolvendo i nostri incassi di quel giorno all’associazione di “Vita e Solidarietà onlus” con una grande festa, la stessa che avremmo fatto se ci fosse ancora lui. Nei giorni precedenti siamo sempre molto ansiosi ma poi la mattina ci diciamo “Andrà tutto bene, ci penserà lui”.

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