​Luca alla “Festa di Gerico”: “Siamo chiamati ad avere la postura dell’amore”

SAN SALVO. Testimone d’eccezione per la settima edizione di”Gerico in festa”, evento organizzato dalla Caritas della parrocchia di San Nicola in memoria di Maria Giulia Moretta, è stato Luca Fortunato che ha portato la sua testimonianza di vita, sabato 12 ottobre presso l’Auditorium Paolo VI.

Luca Fortunato è un uomo di 38 anni di origine barlettese che da diverso tempo vive a Chieti dove gestisce, per la comunità Papa Giovanni XXIII, la “Capanna di Betlemme”, un luogo donato dalle Suore Orsoline, che accoglie tutti coloro che non sanno dove andare e non hanno nulla da offrire, disabili, senza tetto, papà separati, sfrattati, donne vittime di violenza con figlie chi è “il più povero dei poveri: chi non ha nessuno”.

Chiave di lettura e tema dell’intero incontro “La carità è accoglienza”. “Dio ci chiede due cose “ama il Signore Dio tuo e ama il prossimo tuo”. Su quest’ultimo comando ci si gioca tutta la vita perché dalle come curiamo le nostre relazioni viene fuori se le si vive da egoisti o come chi ama l’altro sia esso l’amico, la moglie, il marito e tutti gli altri. Ma come si fa ad amare? Tre sono i moniti dati dal responsabile della “Capanna di Betlemme”: accorgersi, ascoltare e servire guardando l’altro dal basso verso l’alto.

La prima parola per vivere la “carità” è accorgersi dell’altro facendolo sentire accolto. I laici sono le antenne del welfare della società. Come amava dire don Benzi, ci sono dei poveri che non andranno mai a chiedere aiuto e quei poveri vanno intercettati e aiutati. Ognuno di noi ha bisogno innanzitutto di relazioni: questo sì che è veramente potente e in ogni contesto. Le persone che si trovano in una situazione di necessità materiale, umana e spirituale hanno bisogno innanzitutto di sentirsi amati. Bisogna avere occhi che sanno accorgersi delle necessità degli altri e avere la postura dell’amore a prescindere se lo sai fare. Il come con il tempo si affina.

Secondo monito fornito da Fortunato nella logica della carità cristiana, è la capacità di mettersi in ascolto sospendendo il giudizio (“anche se ti viene perché i pensieri cattivi ce li abbiamo tutti). Bisogna provare a cercare di mettersi nei loro panni e averne compassione non nel senso del compatire ma compartecipe della sua sofferenza. Nella carità non ci si può permettere di dare il pacco e non guardarlo neanche negli occhi. La considerazione cura la solitudine. L’amicizia ha la capacità di far resuscitare l’altro dalla sua morte interiore.

Nessuno è migliore del povero, si è solo più fortunati perché in quel momento ci si trovi dall’altra parte ma questo non significa che l’altro è uno sficato e tu un genio. Non basta fare l’elemosina ma l’amore con cui lo si fa è quello che passa e che conta veramente: e questo vale ancor di più allo sportello Caritas o al centro di distribuzione.

Terzo monito dell’operatore della Papa Giovanni XXIII è “servire guardando l’altro dal basso verso l’alto“. Questo modus operandi è qualcosa che rende meno stupidi nell’amore. Per chi lo riceve è una bomba ma anche a chi lo dà diventa un stile di vita che lo migliora perchè gli insegna la via dell’amore in ogni relazione che tesse. Amare per scelta è il senso unico della vita, della felicità, della vocazione, dell’oggi di Dio e della comunione con Dio ma anche con la moglie, il marito, l’amico e il collega.

Santa Bernadette, raccontando alla mamma di come la Madonna la guardava nel momento dell’apparizione, ha dato una massima che dovrebbe divenire l’atteggiamento di chi serve il bisognoso: “Mi guardava come si guarda una persona normale”.

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