Nella Natività di Botticelli: “Sulla Terra si canta la stessa gloria cantata nella perenne liturgia celeste”

(Don Gilberto Ruzzi)

Gloria et pax

La “Natività mistica” di Sandro Botticelli

L’iconografia del Natale, di solito, per i più evoca immagini e pensieri di pace, serenità e tenerezza. L’immaginario collettivo si colloca di fronte alle riproduzioni del presepe con questi presupposti. La “Natività mistica” di Alessandro Filipepi, meglio conosciuto come Sandro Botticelli, ad uno sguardo distratto parrebbe assecondare la stessa logica, con le aggraziate movenze angeliche che riempiono lo spazio pittorico. Ma se ci diamo un po’ più di tempo per osservarla ci rendiamo conto che c’è qualcosa che non quadra. Dipinta nel 1501 per una committenza privata – non è una pala d’altare – in un contesto storico, politico e religioso estremamente drammatico per Firenze e l’Italia, la Natività che oggi possiamo ammirare nella National Gallery di Londra, sembra una vera Apocalisse, una rivelazione. E come per ogni Apocalisse il linguaggio è necessariamente simbolico: un linguaggio che Botticelli, in maniera assolutamente imprevedibile, recupera da una cultura figurativa pre-rinascimentale: l’uso dell’oro, le figure più importanti dipinte di dimensioni maggiori rispetto alle altre … e ci fermiamo a questi due riferimenti.

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La narrazione pittorica è suddivisa in tre livelli: quello superiore, il Cielo e la Gloria di Dio, quello mediano con la scena della Natività, quello inferiore, il terzo, la terra.

Non è difficile identificare con la scena della Natività il centro da cui dipendono gli altri due livelli.

La Madre di Dio, che domina la composizione, è la più grande delle figure del dipinto: collocata sulla soglia di un antro che rimanda alle icone orientali della Natività, si china adorante verso il Bambino che, steso a terra, assecondando le visioni di santa Brigida di Svezia, si protende sgambettando verso di lei in cerca di cure materne…ma anche qui, nel dato naturalistico, il pittore ci rimanda ad altro: al mistero di piccolezza del Verbo fatto carne.

Di lato, e qui troviamo un altro riferimento al linguaggio iconografico orientale, debitore a sua volta della cultura pre-cristiana, sta Giuseppe, che non osserva la scena, come se non fosse coinvolto con quanto sta accadendo. 

Di lato, a destra e sinistra, ulteriore concessione alla tradizione liturgica e pittorica bizantina, contemporaneamente assistiamo all’adorazione dei pastori e  dei magi, scortati dagli angeli che li esortano ad avvicinarsi.

Nel registro superiore, troviamo il cielo dorato e aperto, con la corona di angeli danzanti, che nelle loro vesti svolazzanti conservano il tratto calligrafico tipico di Botticelli: si manifesta la Gloria di Dio da essi cantata insieme alle lodi di Maria, come i tre collocati sulla tettoia che precede la grotta e dà riparo alla Sacra Famiglia.

Nel registro in basso, invece, la pace si diffonde, è annunciata a donata dagli angeli stessi agli uomini: dove giunge il dono di Dio, il regno di Satana arretra e così vediamo minuscoli diavoli che fuggono rifugiandosi nelle fenditure della suolo.

Ecco cosa ci rivela la Natività di Botticelli, che più che mistica chiamerei “apocalittica”: la gloria di Dio si è rivelata nella carne del Figlio, nato da Maria, una carne bisognosa di accoglienza, di cura, di ospitalità. E dove trova accoglienza porta pace e riconciliazione, anche quando i giorni sono cattivi, perchè Lui è la nostra pace.

Scriveva un mistico tedesco del XVII secolo, Angelo Silesio: «Nascesse mille volte Gesù a Betlemme, se non nasce in te, tutto è inutile».

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