Il senso del Te Deum e la “Madonna del latte”

( Pubblichiamo il testo del Te Deum tenuto dal parroco della chiesa di Santa Maria Maggiore di Vasto, don Domenico Spagnoli il 31 dicembre 2018 – prima parte)

I trecentosessanticinque rintocchi del nostro Campanone del 1547, l’esposizione del Santissimo Sacramento con l’ostensorio del 1545 e l’inno del “Te Deum” con la sua originale melodia settecentesca possono rimanere folclore oppure costituire un’opportunità. Un’occasione per ringraziare il Signore del tempo e della storia e così riflettere per riprendere il nostro cammino con maggiore responsabilità.

A noi la scelta di fermarci ad una tradizione con la “t” minuscola o andare oltre: “Tradizione è conservare il fuoco, non adorare le ceneri” (Gustav Mahler) e proprio per questo vogliamo riscoprire il senso più profondo del nostro ritrovarci a pregare nell’ultimo giorno dell’anno.

Il Te Deum è un inno cristiano, che ha avuto una sua evoluzione nei secoli, la cui redazione finale è attribuita a Niceta, Vescovo di Remesiana (Dacia inferiore1) alla fine del IV secolo. Il canto viene eseguito nelle celebrazioni importanti e questa sera è incastonato nei primi vespri della Solennità della Madre Dio, quasi a ricordare che non possiamo concludere un anno, né ripartire, se non guardando alla Donna, alla Vergine, Madre di Dio e Madre nostra.

Possiamo riferirci – per fissare meglio il messaggio – alla bella immagine della “Madonna del latte”, (foto in copertina) risalente al XVIII sec., che trovate nella navata laterale della nostra Chiesa di Santa Maria Maggiore, una comunissima madre del popolo che fa riposare sul suo seno il bambino dopo averlo nutrito del suo latte.

In quella semplicità si nasconde Colei che è madre di Dio, del Dio che si è volontariamente “limitato” per entrare in relazione con noi, come noi, prendendo su di sé il peso dei nostri giorni e così divinizzarli.

La dimensione mariana della Liturgia Te Deum risalta anche nella Lettera ai Galati (Seconda Lettura della Messa), quando si ricorda che il Figlio è “nato da donna”: il particolare indica quel suo farsi uomo, debole, dipendente da qualcuno prima di poter esprimere tutta la sua sapienza.

Tutti noi nel congedarci insomma da questo anno potremmo partire da questa pennellata mariana e farci questo semplice esame di coscienza: come ho vissuto la mia umanità, come ho trattato la mia fragilità e la fragilità dell’altro? È stata una occasione per imparare e per donarmi oppure ne ho approfittato? Come ho trattato la donna dalla quale sono nato o con la quale sto formando la mia famiglia; come considero la donna che presta un servizio nella mia casa che assiste un mio familiare anziano?

L’immagine di Maria che tiene in braccio quel Bambino ci aiuti a ricordare che siamo stati tutti in braccio ad una donna, tutti nutriti da una donna. L’Amore lo si riceve e lo si alimenta giorno dopo giorno e, su questo, vogliamo scommettere con i nostri bambini e ragazzi; su questo le istituzioni e le Parrocchie in prima linea vogliono annunciare la bellezza di un rapporto in cui solo nella libertà si costruisce il futuro: mai con gli inganni e i ricatti.

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