Angelo: “Sono vivo grazie al cuore di un diciottenne”

Di seguito una sintesi di una toccante testimonianza di Angelo Fabrizio, un uomo che è vivo per miracolo.

Cosa ricordi della tua infanzia e del tuo essere ragazzo e giovane sansalvese?

Io sono nato il 5 agosto del 1957 e con orgoglio rivendico il fatto di essere figlio di contadini, persone semplici, umili e generose che ti darebbero anche ciò che non hanno. Ero un ragazzo come tanti altri che amava stare in strada a giocare con gli amici. San Salvo era piccolissima e tutti si volevano bene. Con l’insediamento della Siv, mio padre, come tantissimi altri si era rivolto al politico di turno Vitale Artese per chiedergli di farlo entrare a lavorare in fabbrica ma lui gli rispose “ma tu hai la terra”. Ovviamente papà ci restò malissimo perché all’epoca aveva solo un piccolo appezzamento e che non rendeva abbastanza per soddisfare le esigenze della famiglia ma poi si rimboccò le maniche e intensificò la sua attività di agricoltore. Quella era l’epoca d’oro per le pesche a San Salvo e proprio grazie a ciò papà poté acquistare altri terreni e costruire anche casa. Io, intorno ai 15 anni, oltre che aiutare i miei genitori in campagna ho cominciato anche a lavorare nella Cooperativa Eurortofrutticola. Mi presero perché ero alto e l’altezza serviva perché c’era bisogno porre una sull’altra le cassette di legno sulle pedane. Quante schegge si ficcavano nelle mani! Le pesche venivano commercializzate anche fuori San Salvo e per farle giungere nella varie destinazioni le portavamo alla stazione e nei vagoni per avere l’effetto frigorifero e far conservare la frutta fino a destinazione rivestivamo le pareti dei vagoni con dei “lingotti di ghiaccio”, ognuna delle quali misurava un metro di altezza per circa 15 centimetri di profondità.

Come è proceduta in seguito la tua vita?

Nel 1977 insieme a un mio amico Angelo De Cinque, avevamo preso in gestione un consorzio agrario a Vasto ma lo tenemmo solo per qualche anno ossia fino al 1981 quando aprii un negozio di giardinaggio a Vasto. Ma questa scelta mi ha portato anche ad avere tanti debiti. Per fortuna nel frattempo avevo iniziato a fare anche lavori di giardinaggio e in seguito questo è diventato il mio lavoro prevalente. Nel 1977, durante una festa di compleanno a Vasto, ho anche conosciuto colei che è diventata mia moglie, Raffaella Bruno. Rimasi subito colpito dal suo viso dolce, delicato e senza trucco. Nel 1982 ci siamo sposati ma ben presto abbiamo scoperto che purtroppo non potevamo generare figli. Mia moglie che veniva da una famiglia di 4 figli aveva subito pensato di avviare delle pratiche di adozione ma io non volevo sia per orgoglio e sia perché ero anche avaro. Stava cominciando a nascere dell’astio tra di noi per questo motivo. Ma la nostra salvezza è stato il fatto che siccome mio suocero era un diacono, aveva cresciuto i figli con il senso del valore delle pratiche religiose. Infatti da quando ci siamo sposati, tutte le domeniche andavamo a messa. Ma io ci andavo solo per seguire mia moglie e non per fede. Una domenica restai colpito da un passo della bibbia che diceva: “Non è ancora il tempo, né il momento e né il luogo in cui tu possa ricevere questa parola e portare questo peso”. Di lì a qualche settimana ci furono delle testimonianze di persone che frequentavano il Cammino Neocatecumenale e chi aveva 5, chi 6 e chi 7 figli. Dopo aver ascoltato queste testimonianze, abbiamo cominciato a frequentare questo cammino e io mi sono deciso a condividere il desiderio di mia moglie di accogliere dei bambini a casa nostra. Era il 1984! Dopo ben 4 anni di burocrazia è arrivata la bellissima notizia che potevamo andarci a prendere “nostra figlia” a Santa Fè di Bogotá in Colombia. Aveva solo 7 giorni e somigliava un sacco a mia moglie. Eravamo felicissimi di questa scelta e subito abbiamo avviato le pratiche per un’altra adozione che è arrivata nel 1992. Stessa prassi e stessa immensa gioia. Questa volta era un maschietto di 25 giorni che aveva un qualcosa che lo faceva somigliare a me. Avevamo avviato anche una terza adozione ma lo stato del mio cuore che stava sempre peggio era un ostacolo per la burocrazia. Da sempre i nostri figli hanno saputo che erano figli che non avevamo generati ma che li amavamo immensamente.

Quando hai scoperto il tuo problema al cuore e quando sei arrivato al trapianto?

Quando avevo 7 anni, una mattina non mi sentivo le gambe e non riuscivo ad alzarmi dal letto. Mamma all’inizio pensò che era una scusa per non andare a scuola ma poi si accorse che non era così e cominciammo a fare i primi accertamenti. Uno streptococco si era depositato nel cuore e aveva provocato un’insufficienza aortica che mi sono poi trascinato nel tempo. In seguito ho avuto una vita normale giocavo persino a pallone. Anche se mamma diceva “questo non lo devi fare, sei malato!”. Nel 1990 ho subito il primo intervento per la sostituzione della valvola aortica. Tutto è andato bene e sono andato avanti senza problemi per diverso tempo. A inizio 2003 durante uno dei controlli di routine mi hanno detto che il cuore si stava ingrossando troppo e che avevo bisogno urgente di un trapianto. Consultai anche un altro centro e ci accompagnò anche don Raimondo Artese. Il responso era lo stesso. Il 4 febbraio del 2003 (giorno del mio trapianto) sono rinato per la seconda volta e dopo di allora ho cambiato completamente prospettiva di vita. Io sono vivo grazie al cuore di una ragazzo diciottenne di Modena morto dopo un incidente. Sento che sono vivo per miracolo e che in qualche modo quel ragazzo continua a vivere insieme a me. Nei giorni di festa come Natale e Pasqua ho un gran magone perché questi sono i giorni deputati allo stare in famiglia e sento il dolore della famiglia di quel ragazzo. E così mi ritrovo ogni istante a ringraziare Dio per la mia vita, mia moglie, i miei due meravigliosi figli, i miei genitori e tutte le persone che mi vogliono bene e che amo.

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